Cancro al seno, il ruolo degli anticorpi "voltagabbana"

   Salute Seno, Angela Maselli, 27/04/2016

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Oggi la Fondazione Umberto Veronesi consegna i Grant 2016. Tra i progetti di ricerca premiati anche quello di Angela Maselli, che studia un particolare antianticorpo individuato nel sangue di alcune donne con carcinoma mammario




C'è un tipo particolare di anticorpi che il nostro corpo produce non contro un agente esterno, come un virus, ma “contro” se stesso, e che sembra avere una parte nello sviluppo del tumore al seno. Questo anticorpo ha un nome complicato – si chiama antirecettore alfa dell'estrogeno – e scoprire quale sia esattamente il suo ruolo è l'obiettivo di una giovane biologa dell'Istituto Superiore di Sanità, Angela Maselli. Il suo progetto ha infatti vinto una delle 165 borse di ricerca che la Fondazione Umberto Veronesi assegna oggi a Milano, durante la Cerimonia di consegna dei Grant 2016.

Il particolare anticorpo è stato recentemente scoperto nel sangue di alcune donne a cui era stato appena diagnosticato il tumore al seno. Angela, insieme a un gruppo di ricercatori dell'Istituto Superiore di Sanità, dell'Istituto Tumori Regina Elena e del San Raffaele Pisana di Roma, aveva analizzato il siero di 48 pazienti, riscontrando l'anticorpo in 22 casi (46%). La sua presenza non era correlata allo stadio della malattia, ma con l'attività di proliferazione: “È quindi possibile – spiega la ricercatrice – che l'anticorpo favorisca lo sviluppo o la crescita del tumore e, forse, anche l'insorgenza della resistenza alle terapie”.

In che modo? Prima di inoltrarci nella risposta è necessario capire la biologia del tumore al seno. Nella maggior parte dei casi, i tumori al seno sono “sensibili” agli ormoni femminili (estrogeni e progesterone): sulla superficie delle loro cellule, infatti, esistono dei recettori che, come ganci, si legano agli ormoni. Questo legame dà “energia” al cancro, aumentando la sua velocità di replicazione e inibendo la morte cellulare. “L'anticorpo appena scoperto sembra fare esattamente lo stesso, sostituendosi perfettamente agli estrogeni”, spiega ancora Angela: “In questo modo, potrebbe quindi annullare l'effetto dei farmaci antiestrogeni, come il tamoxifene. È frequente che le pazienti smettano di rispondere a questo farmaco dopo alcuni anni; in alcuni casi non vi è risposta fin dall'inizio della terapia. La presenza dell'anticorpo potrebbe essere uno dei motivi della resistenza”.

Fino ad ora, gli scienziati hanno dimostrato che l'anticorpo si lega ai recettori di membrana del tumore e che, contemporaneamente, si ha un aumento della proliferazione. Ciò che avviene esattamente a livello cellulare deve però essere ancora scoperto. “Vogliamo osservare cosa accade quando tamoxifene e anticorpo competono per il recettore e scoprire quale dei due prevalga, se e come interferiscano. Capire il meccanismo di azione dell'anticorpo significherebbe poterlo usare anche come marcatore, per esempio per selezionare fin dall'inizio le pazienti per le quale i farmaci antiormonali hanno maggiore probabilità di successo”.

Lo studio di Angela fa parte del progetto dedicato al tumore al seno Pink is Good della Fondazione Umberto Veronesi, che attraverso i grant ha già sostenuto circa mille ricercatori e oltre 90 progetti di ricerca.


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