Tumore al seno e rischio osteoporosi:cure gratis, ma poche donne le fanno

   Sportello Cancro, Vera Martinella, 11/04/2016

INDAGINE ONDA
La terapia di blocco ormonale induce una riduzione degli estrogeni che ha effetti positivi sul cancro ma crea danni alle ossa. Il rischio di fratture può essere prevenuto con appositi farmaci, ma solo il 43 per cento delle italiane li prende

Prevenire i possibili danni ossei causati dalle terapie anticancro nelle donne con un tumore al seno si può e si deve, ma in Italia si fa ancora poco in questo senso. Nel nostro Paese, infatti, ogni anno 250mila pazienti curate per un carcinoma mammario iniziano la terapia ormonale adiuvante (per prevenire le ricadute) con inibitori dell’aromatasi e sebbene 9 su 10 siano a conoscenza del legame tra questa cura e l’osteoporosi, solo il 43 per cento di loro non viene sottoposto ai trattamenti per prevenire danni ossei.

Cura «salva-ossa» rimborsata gratis dall’inizio della terapia ormonale
È quanto emerge da un’indagine condotta recentemente dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), nonostante le raccomandazioni delle recenti Linee Guida Nazionali sia di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) che di SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro fondate sulle evidenze scientifiche che il rischio di frattura è elevato già nel primo anno dall’inizio della terapia ormonale adiuvante e non è correlato all’età della paziente. «Dai risultati del sondaggio – commenta Francesca Merzagora, presidente Onda - emerge che le direttive indicate nelle recenti Linee Guida non vengono ancora applicate. Invece, a fronte di un rischio certo, è stato stabilito che le donne trattate con terapia ormonale adiuvante con inibitori dell’aromatasi dovrebbero ricevere le cure per prevenire l’osteoporosi sin dall’inizio della terapia anticancro. Inoltre, anche l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), con un recente aggiornamento della Nota 79, ha riconosciuto che il rischio di frattura di queste pazienti è talmente alto da giustificare la rimborsabilità dei farmaci per la fragilità ossea sin dall’inizio della terapia antitumorale, senza la necessità di effettuare preventivamente esami specifici».

Il sondaggio: più a rischio soprattutto le donne giovani
L’indagine è stata realizzata (grazie al contributo incondizionato di Amgen) su un campione di 81 donne, con un’età compresa tra 32 e 81 anni, affette da carcinoma mammario in terapia ormonale adiuvante con inibitori dell’aromatasi. L’87 per cento delle intervistate si dichiara consapevole e ben informata sul fatto che l’osteoporosi sia una possibile conseguenza della terapia con inibitori dell’aromatasi. Oltre la metà teme gli effetti negativi della terapia e l’osteoporosi è la conseguenza che spaventa maggiormente: ben 7 pazienti su 10 la citano ancora prima di un’eventuale inefficacia della cura antitumorale. Importante il ruolo dell’oncologo che informa correttamente le sue pazienti nel 99 per cento dei casi. Ma, nonostante questo, il 43 per cento delle interpellate non inizia alcun trattamento per prevenirla e la percentuale sale addirittura al 76 tra le donne più giovani che, invece, necessiterebbero di più attenzione proprio per l’impatto potenzialmente maggiore delle fratture in termini sociali e di salute. Inoltre, ben il 60 per cento delle intervistate con un’età inferiore ai 50 anni dichiara di non aver mai effettuato esami per controllare la salute delle ossa (MOC/ultrasonografia) dopo l’inizio della terapia ormonale.

Il blocco ormonale riduce gli estrogeni: protegge il seno, ma danneggia le ossa
«Gli inibitori dell’aromatasi riducono gli estrogeni a un livello estremamente basso – spiega Francesco Bertoldo, endocrinologo del Centro Malattie del Metabolismo Minerale e Osteoncologia del Policlinico GB Rossi, Università di Verona -. Questo meccanismo d’azione, da una parte è funzionale e protettivo per il seno, ma dall’altra produce una notevole accelerazione del rimodellamento osseo. Il processo di distruzione dell’osso diventa, dunque, molto più veloce e molto più intenso di quanto non avvenga nell’osteoporosi legata all’età. Questa accelerazione estrema del riassorbimento osseo produce un danno che comporta un’alterazione qualitativa della struttura trabecolare. Paradossalmente, tutto ciò è il segnale di un’ottima funzionalità dell’inibitore dell’aromatasi. Il problema, nelle donne più giovani, è che il salto da una situazione ormonale tipica dell’età fertile ad una situazione di profondo ipoestrogenismo, è drammatico, mentre in una donna anziana, che è già in menopausa, le ripercussioni sono meno evidenti in quanto il suo livello ormonale di partenza è già basso. Per questo motivo le donne giovani sono un target che meriterebbe molta più attenzione».

Fratture soprattutto alle vertebre. Diverse cure disponibili
La maggioranza delle fratture avviene a livello vertebrale. Si tratta di fratture molto frequenti e purtroppo spesso asintomatiche ma, al tempo stesso, facilmente rilevabili con una radiografia o semplicemente misurando l’altezza: il calo di un solo centimetro è fortemente indicativo e prognostico. «Eppure esistono cure efficaci per prevenire i danni scheletrici in queste pazienti – conclude Daniele Santini, oncologo medico dell’Università Campus Bio-Medico di Roma -. Abbiamo a disposizione farmaci in grado di prevenire la perdita di massa ossea e con dimostrata efficacia anti-fratturativa. E nei maggiori congressi scientifici internazionali (come l’ASCO di Chicago e il Breast Cancer Symposium di San Antonio) sono state presentate interessanti novità per salvaguardare la salute delle ossa. Ad esempio una sperimentazione su pazienti trattate con un apposito medicinale (denosumab) ha evidenziato una riduzione del 50 per cento del rischio di comparsa di frattura clinica e ha mostrato una riduzione del rischio di ricomparsa della malattia che si attesta intorno al 18 per cento. E uno studio da poco pubblicato sulla rivista scientifica Lancet, evidenzia come anche altri antiriassorbitivi possano migliorare la l’intervallo di tempo prima che la malattia si ripresenti nelle donne in post-menopausa».

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