La “biopsia liquida” che fa diagnosi di tumore e guida la cura

   Sportello Cancro, Adriana Bazzi, 04/06/2016

CONGRESSO DEGLI ONCOLOGI AMERICANI
Il cancro è una malattia del Dna: capire quali sono le alterazioni del genoma offre l’opportunità di scegliere i farmaci migliori sul mercato (costi permettendo)


Si chiama “biopsia liquida”: è un prelievo di sangue, che poi viene analizzato in laboratorio, con l’obiettivo di identificare frammenti anomali di Dna, spia della presenza di un tumore. Un’alternativa molto meno invasiva rispetto alla biopsia, quella vera, che prevede un prelievo di tessuto tumorale (parliamo di tumori solidi, quelli che si presentano nei vari organi, non di quelli del sangue, che sono diversi), fatta dal chirurgo, o l’agoaspirato, appunto l’aspirazione di cellule dalla massa tumorale (per esempio lo fanno donne con sospetto di tumore al seno). Esami dolorosi che non sempre forniscono materiale adeguato per le analisi di laboratorio.

Test sul sangue
Il nuovo test sul sangue appare attendibile, stando ai risultati di una ricerca condotta su 15 mila persone,appena presentata all’Asco, il congresso dell’American Society of Clinical Oncology in corso a Chicago. Un congresso che riunisce almeno 30 mila specialisti, provenienti da tutto il mondo, e che presenta il meglio della ricerca scientifica in questo settore. Il cancro è una malattia del genoma: quando certi geni vanno incontro a una mutazione, la cellula impazzisce. Le mutazioni del Dna sono molte, alcune sono presenti fin dall’inizio della malattia, altre compaiono via via, durante il suo decorso, e tutte possono essere potenziali bersagli dei farmaci. La tecnica della biopsia liquida è allo studio da tempo, ma a Chicago, una ricerca presentata da Philip Mark, farmacologo all’University of California, e condotta su 15 mila pazienti, affetti da 50differenti tipi di tumore (da quelli al polmone avanzati fino a quelli della mammella e del colon retto), mostra che il ctDna (cioè il Dna che le cellule tumorali liberano nel sangue) dà indicazioni sulla malattia, paragonabili a quelle fornite dalla biopsia classica.

Dna del tumore
Conoscere le alterazioni del Dna tumorale è di fondamentale importanza per la diagnosi precoce e per la scelta della terapia (sia all’inizio sia successivamente, perché certe mutazioni compaiono nel tempo, rendono inefficace una cura precedente e indicano quali nuovi farmaci possono essere utilizzati nelle seconde linee di trattamento, quando cioè le prime sono fallite). Oggi si tende a parlare non più di tumori che colpiscono questo o quell’altro organo (la mammella o il polmone o il rene) ma di neoplasie che hanno questa o quest’altra alterazione del Dna (mutazioni del gene Egfr, Braf, Kras, solo per citare qualche sigla complicata) e di conseguenza non si dovrebbe scegliere il farmaco per curare il tumore in base all’organo, ma quel farmaco che può neutralizzare quella specifica mutazione ( a prescindere dall’organo in cui si manifesta) .

Atlante del genoma
Non a caso è stato costruito un atlante di queste mutazioni: il Cancer Genome Atlas che sta diventando una sorta di Bibbia per la scelta delle cure. «Purtroppo, però, in Italia l’analisi genetica non sempre viene eseguita e non si cercano alcuni biomarcatori (spia appunto di alterazioni genetiche, ndr) che potrebbero orientare al meglio la terapia –commenta Federico Cappuzzo, primario di Oncologia all’Ospedale di Ravenna, specialista nella cura dei tumori al polmone – Almeno il 70 per cento dei pazienti, da noi, non viene sottoposto a test specifici e non riceve terapie mirate». Non è solo una questione di sensibilità dei medici nei confronti di queste possibilità diagnostiche: spesso è proprio difficile ottenere materiale da analizzare in laboratorio. Ecco perché analisi come la biopsia liquida potranno, in futuro, offrire una nuova opportunità. Il trattamento dei tumori, d’altra parte, si sta evolvendo: non dimentichiamoci che esiste una terapia chirurgica, in molti casi, di prima scelta e una radioterapia, anche superspecializzata (tipo l’adroterapia con particelle nucleari come ioni, adroni e protoni,ancora poco praticata) che funziona, ma non sempre è accessibile.
Ma è la terapia medica la fa da padrone.

Tumore al rene
Per molti anni questa terapia si è basata sui chemioterapici: molecole chimiche, capaci, cioè, di distruggere le cellule tumorali (quelle che, appunto, hanno un Dna alterato), ma purtroppo distruggono anche quelle sane. Secondo alcuni va mandata in soffitta, secondo altri ha ancora il suo ruolo. «Ha effetti collaterali, ma serve ancora – dice Sergio Bracarda, oncologo dell’Ospedale di Arezzo – Funziona bene nel tumore al testicolo, tanto per fare un esempio. Oppure nel tumore alla vescica. Ma nei tumori renali l’immunoterapia, con farmaci che stimolano il sistema immunitario ad aggredire il tumore, come il nivolumab, a volte associata agli anti-angiogenetici (quei farmaci, cioè, che inibiscono la formazione di vasi sanguigni che porterebbero nutrimento al tumore, ndr) rappresenta oggi la soluzione migliore per il tumore del rene».

Immunoterapia
Aggiunge Federico Cappuzzo, oncologo all’Ospedale di Ravenna, che si occupa di neoplasie polmonari: «I pazienti vogliono liberarsi dalla chemioterapia: nel tumore al polmone non a piccole cellule oggi si può, grazie ai nuovi farmaci». Ecco allora la targeted therapy, quella personalizzata, che si basa sulla somministrazione di anticorpi monoclonali capaci di neutralizzare quelle proteine delle cellule tumorali, create da geni alterati, edi distruggere queste ultime, salvaguardando le cellule sane. A questa si è aggiunta, recentemente, l’immunoterapia il cui obiettivo è quello di aiutare il sistema immunitario dell’organismo,liberandolo da quei freni che gli impediscono di aggredire le cellule tumorali. E la nuova strategia è quella di utilizzare cocktail di questi farmaci. L’associazione di nivolumab e ipilimumab (entrambi stimolano il sistema immunitario) , per esempio, definita un trattamento “fasta nd furious” (cioè veloce perché dà una risposta immediata e travolgente perché determina una vera e propria tempesta immunitaria) è molto efficace nel melanoma.

Fondo per l’oncologia
Dice Paolo Ascierto, oncologo all’Istituto nazionale Tumori Pascale di Napoli: «Oggi queste terapie consentono di migliorare la sopravvivenza a lungo termine: il 20 per cento dei pazienti èvivo a dieci anni. Non mancano gli effetti collaterali che però oggi siamo in grado di controllare». Ma di fronte a tutte queste innovazioni terapeutiche si sta affacciando il problema dei costi. Come affrontare la spesa di questi nuovi farmaci che rischiano di far saltare i sistemi sanitari in molti Paesi? L’Aiom l’Associazione italiana degli oncologi medici fa una proposta: destinare una quota delle accise delle sigarette, pari a venti centesimi al pacchetto, a un fondo che garantisca a tutti i pazienti l’accesso ai farmaci. «Bisogna agire in fretta – commenta Carmine Pinto presidente dell’Aiom , - perché nei prossimi tempi alcuni pazienti rischiano di rimanere senza cure».

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