Scritto di apertura del 34°congresso della Presidente Nazionale A.N.D.O.S. onlus

   Flori Degrassi

Ero molto giovane e, durante il corso di laurea in medicina, frequentavo il reparto di Clinica Chirurgica a Trieste. Periodicamente veniva a fare l'aggiornamento, come Sorella Volontaria di Croce Rossa, Luisa Nemez. Ci conoscemmo così, io studiavo e lei aiutava il personale  infermieristico.  
Quale fu la molla che ci fece capire che bisognava fare qualcosa?  Per lei scattò quando una sua amica si ammalò, cadde in depressione e le chiese aiuto; così cominciò ad accarezzarla facendole un leggero massaggio; per me fu determinante la mastectomia radicale ad una prostituta, a cui non era stata data alcuna comunicazione, che si svegliò dall’intervento e, prendendo coscienza di essere senza un seno, si mise ad urlare “assassini dovevate dirmelo ed io avrei potuto scegliere se operarmi o meno”. A chi le rispondeva che gli era stata salvata la vita diceva che non poteva più lavorare e quindi avrebbe preferito morire.  
Entrambe ci rendemmo conto che bisognava fare qualcosa per le operate, che allora erano  tutte Mastectomizzate, e, al di là dell’assenza di qualsiasi comunicazione, avevano una grandissima incidenza di linfedema di cui non si occupava nessuno. Dopo laureata, ho lavorato al centro tumori seguendo le donne: dalla diagnosi all'intervento. Luisa assisteva a letto le operate con il linfodrenaggio, io andavo a parlare del problema ai convegni in radio e televisione.
In Clinica Chirurgica, ad eccezione del Prof. Mauro Di Pietrantonio, i clinici non erano sensibili al problema. Luisa contattò il Professor Piero Pietri, allora Direttore della Semiotica Chirurgica, che l'ascoltò anche perché già impegnato con l'A.I.S.T.O.M.
Nel 1980 io e Luisa ci separammo fisicamente. A Roma, cercai di collegarmi alle associazioni presenti e,  non soddisfatta, nel 1983 fondai il centro provinciale Riabilitazione Mastectomizzate di Roma. 
Luisa diceva che l'associazione era una stampella, a cui appoggiarsi quando si era stanchi, e che la filosofia era che attraverso la riabilitazione fisica si raggiungeva la riabilitazione globale.
Concetto che ci ha accompagnato per tanti anni e tuttora valido per i comitati che fanno il linfodrenaggio. La riabilitazione fisica, per noi, è un pretesto per la presa in carico totale della donna.
Oggi abbiamo una visione complessiva del problema, l’associazione si occupa di tutte le problematiche inerenti la patologia mammaria, dall’educazione sanitaria, alla sensibilizzazione della popolazione nei confronti dell’anticipazione diagnostica, dei corretti stili, a qualsiasi attività sia utile a migliorare la qualità e quantità di vita, non trascurando ovviamente la riabilitazione fisica in generale e quella del linfedema in particolare.
La caratteristica unica di questa nostra associazione è quella di avere un volontariato di donne operate e di professionisti della sanità e di prestare aiuto al bisogno, favorendo, se utile per l’autonomia della donna, il suo distacco dall’associazione.
Forti del fatto di avere al nostro interno volontari “ tecnico-sanitari”, siamo entrati nei percorsi diagnostico-terapeutici senologici e nelle breast-unit, integrandoci con le istituzioni, abbiamo imparato a lavorare insieme, siamo diventati parte della multidisciplinarietà. Oltre che punto di riferimento siamo parte della rete di supporto di ogni donna che si approccia alla patologia.
In questi 40 anni la medicina è cambiata più che nei due secoli precedenti e nel campo della patologia mammaria nulla è rimasto come allora. E’ cambiata la diagnostica dalla termografia alla mammografia, ecografia, risonanza, test genetici, ecc, si va all’intervento dopo che con l’ago biopsia manuale o stereotassica si è fatta già la stadiazione della lesione per poter a priori determinare tutti i passaggi terapeutici successivi, gli interventi chirurgici sono diventati poco demolitivi e comunque anche ricostruttivi o contemporaneamente o in una successione standardizzata, la radioterapia ha cambiato macchine e filosofia d’intervento, l’oncologia è diventata da standardizzata a personalizzata, l’ormonoterapia allora non si sapeva nemmeno che cosa fosse. La presenza dello psicologo è almeno consigliata, la riabilitazione finalmente è diventata parte essenziale del percorso come il volontariato specializzato.
Noi abbiamo partecipato attivamente a questo radicale cambiamento di prospettiva. Il nostro più grande merito è senz' altro quello di aver aumentato nelle donne la consapevolezza e la cultura del proprio stato, del diritto di essere informate per condividere il proprio percorso di cura. Abbiamo però anche obbligato i medici ad ascoltare e a relazionarsi con le donne.
Nei nostri congressi abbiamo parlato di tutto, passando dalla fase in cui si doveva solo dare speranza e parlare di cose positive a quella dell'approfondimento su tutti i temi: dalla diagnostica intesa come radiologia clinica e screening alla chirurgia, dalle terapie adiuvanti alla riabilitazione, dalla tutela dei diritti alla sessualità e fertilità, dalla genetica alla comunicazione ed efficacia delle cure fino ad arrivare all’attenzione sulla qualità della vita.
Il tema del congresso di oggi che parla della cronicità della malattia, introdotto per la prima volta a Torino, non si sarebbe mai immaginato e tantomeno affrontato fino a poco tempo fa, si sarebbe quindi sottaciuta o, per meglio dire, negata una parte rilevante della problematica dimenticandosi di tante di noi, come Caterina, che hanno vissuto tanti anni convivendo con la malattia.
Oggi la guaribilità dal tumore alla mammella si è attestata intorno all’85%, mentre solo 20 anni fa era la metà. La diagnosi precoce è fondamentale perché aumenta le chances di una guarigione definitiva ma consente anche di arrivare alla guarigione in modo meno traumatico, facendo interventi più limitati o trattamenti meno invasivi, sia in termini chirurgici che di radioterapia o cure mediche.
La sopravvivenza delle donne, che hanno una malattia metastatica, può comunque essere di anni, con una buona qualità di vita. E non è così difficile o raro ottenere la cronicizzazione della malattia sia negli stadi iniziali che in quelli avanzati. Esistono, infatti, trattamenti efficaci anche per le donne con tumore al seno metastatizzato, la cui sopravvivenza è aumentata notevolmente.

La fiducia che si instaura fra medico e paziente riveste un ruolo fondamentale nel processo decisionale della presa in carico che permette di trattare l’evoluzione di malattia rispettando, per quanto possibile, i desideri e le aspirazioni della donna. La pianificazione del più adatto approccio terapeutico alla malattia vede due “attori principali” che ricoprono entrambi il ruolo di protagonisti: il medico e la paziente. La buona comunicazione non prevede solamente una parte informativa di “nozioni” da fornire ma anche un momento in cui il medico verifica se la donna ha compreso in maniera sufficiente ed adeguata le informazioni da lui fornite relative al trattamento, alle possibili complicanze acute e croniche, agli effetti collaterali.
Noi appartenenti a questa associazione sappiamo quanto sia importante il raggiungimento di un equilibrio emotivo e quanto questo sia strettamente correlato con la qualità di vita e le funzioni relazionali affettivo-emotive. Per questo motivo, è fondamentale che la donna si senta libera di poter esprimere la propria opinione durante ogni fase del processo di pianificazione del trattamento, la malattia può divenire, con un adeguato supporto psicologico, un evento catalizzatore per raggiungere uno stato di benessere interiore.

Le fasi di malattia sono cambiamenti e, come tali, sono difficili da gestire come le emozioni, le incertezze sul futuro, soprattutto quelle riguardanti gli aspetti di vita quotidiana (lavoro, rapporti familiari e sociali).
L’assistenza erogata deve andare oltre agli aspetti patologici della cura del tumore ed è per questo motivo che risulta fondamentale fornire alla donna un’assistenza personalizzata e attuare una “ presa in carico olistica”.
La nostra vita, in questo momento storico di velocizzazione e superficialità sociale, sperimenta l’incidenza di scarti «brutali» che la scandiscono, di dolorosi processi fisici e psichici non esprimibili e non assimilabili dalla conoscenza, di un nucleo non elaborato, intrattabile e immodificabile, di grumi insolubili di sofferenza.
La malattia fisica àncora la mente ai ritmi del corpo sofferente e la rallenta; il pensiero continua a scorrere e sembra che non esista più futuro; l’esperienza del trauma blocca l’esistenza e rende incapaci di superare l’accaduto; i cambiamenti attraversano come meteore inaspettate l’orizzonte della vita spezzando equilibri precari, e, pur rappresentando la “brutalità delle cose”, in qualche modo inevitabile e non trasformabile, costituiscono dentro di noi l’alternanza e la composizione delle varie forme del vivere.
La nostra vita è una continua ricerca di consapevolezza di sé e del senso del vivere, il coraggio è uno stile di vita ed è un modo di stare al mondo. 
Noi siamo coraggiose, viviamo la nostra nuova vita con la consapevolezza di poter aiutare altre persone. Aiutarle, non a soffrire di meno, sarebbe veramente un delirio di onnipotenza, ma forse, a trovare prima quell’equilibrio interiore per capire che è una nuova vita, questa che viviamo, non peggiore né migliore, solo diversa.

Flori Degrassi