Lucia Del Mastro: così possiamo preservare la fertilità delle giovani

   Salute seno, Tiziana Moriconi,

Grazie a uno studio italiano, le giovani donne che oggi si ammalano di tumore hanno più possibilità di sperare in una gravidanza. Come? Ce lo racconta Lucia Del Mastro dell'IST San Martino di Genova, coordinatrice della ricerca


Si stima che circa 2700 donne siano colpite ogni anno dal tumore al seno in età ancora fertile. Farmaci già in commercio, gli analoghi LH-RH, agiscono mettendo a riposo le ovaie, proteggendole così dalla tossicità della chemioterapia. Primo al mondo a condurre uno studio per dimostrare l'efficacia di questa strategia è stato il team di Lucia Del Mastro, oncologa dell'IST San Martino di Genova. L'abbiamo incontrata al Congresso annuale dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che si è tenuto lo scorso ottobre a Roma.

Dottoressa Dal Mastro, com'è nata l'idea di questo studio?
“La chemioterapia, purtroppo, può determinare come effetto collaterale la perdita o la riduzione irreversibile della fertilità. L'obiettivo del nostro studio era cercare una strategia per ridurre questo effetto collaterale. Quello che sapevamo è che la chemioterapia è più tossica per quegli organi che sono più attivi, come le ovaie. Dal momento che c'era già in commercio un farmaco in grado di mettere a riposo le ovaie, l'analogo LH-RH, abbiamo pensato di utilizzarlo”.

Come si è svolto lo studio e cosa ha mostrato?
“Siamo partiti nel 2000 e abbiamo fatto uno studio multicentrico, cioè sono stati coinvolti vari centri italiani, sono state arruolate 281 donne al di sotto dei 40 e che, nel 60% dei casi, non avevano ancora avuto figli. Hanno cominciato a prendere questo farmaco prima della chemioterapia e durante tutto il trattamento. I nostri primi risultati sono stati pubblicati nel 2011 su Jama: le donne che avevano assunto l'analogo LH-RH hanno avuto una percentuale di menopausa precoce – e quindi di perdita della funzione ovarica – inferiore al 10% rispetto al 25% osservato nel gruppo di controllo, formato da donne che non avevano assunto il farmaco. Siamo stati i primi al mondo a pubblicare questo tipo di sperimentazione. Poi i colleghi americani hanno condotto anche loro uno studio molto simile che ha dato risultati identici”.

Siete andati avanti?
“Sì, perché l'obiettivo era anche di valutare se queste preservazione della funzione ovarica si traducesse poi in una preservazione della fertilità e quindi nella possibilità di avere figli una volta terminate le cure. Quindi siamo andati a vedere quante donne hanno effettivamente avuto gravidanze e abbiamo trovato un numero molto più alto in chi aveva assunto il farmaco. I nuovi dati sono stati pubblicati sempre su Jama nel dicembre del 2015: considerando che è passato ancora poco tempo, perché le terapie durano cinque anni, abbiamo osservato otto gravidanze nel gruppo trattato con il farmaco rispetto a sole tre gravidanze nel gruppo di controllo”.

E ora, grazie al vostro studio, il farmaco è finalmente gratuito per le giovani pazienti oncologiche.
“Il farmaco è stato approvato anche in Italia con questa indicazione pochi mesi fa, nel giugno del 2016, quindi attualmente è disponibile a carico del Sistema sanitario nazionale per tutte le pazienti giovani che vogliono preservare la loro fertilità. Le linee guida internazionali, non solo quelle italiane, hanno riconosciuto l'importanza di questa strategia che oggi viene considerata come uno standard da offrire a tutte le giovani che devono essere sottoposte a chemioterapia”.

Come si somministra?
“Con una semplice iniezione intramuscolare. Si comincia almeno una settimana prima della chemioterapia e poi una volta ogni quattro settimane durante tutta la durata del trattamento”.

È stato davvero un successo importante.
“I successi in medicina sono sempre frutto di un lavoro di squadra e quindi è il successo di un gruppo che ha lavorato e che ci ha creduto. Perché per portare avanti una sperimentazione spontanea come questa non avevamo un supporto da parte di aziende farmaceutiche o di altri enti. L'unico supporto è stato quello della Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). Credi che sia un successo della ricerca italiana sul tumore della mammella”.

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