Seno, ecco perché si creano metastasi (anche se il tumore è molto piccolo)

   Sportello Cancro, Vera Martinella, 15/12/2016

Due studi arrivano a conclusioni simili e rispondono a domande finora senza risposta: perché ci sono tumori piccolissimi che diventano molto aggressivi? Perché a volte arrivano le metastasi senza che ci sia il tumore originario?

Alcune cellule cancerose possono diffondersi in altri organi ancora prima che il tumore al seno si sviluppi, restare silenti per un lungo periodo e poi «risvegliarsi» provocando la formazione di metastasi aggressive e spesso letali. A rivelare alcuni meccanismi che rendono determinati tipi di cancro al seno particolarmente difficili da sconfiggere sono due studi appena pubblicati sulla rivista scientifica Nature da ricercatori americani della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York e dell’Università tedesca di Regensburg. Le conclusioni di queste indagini aiutano a spiegare il «mistero» che avvolge tuttora alcuni casi di cancro al seno: «Facciamo un passo avanti nella comprensione di situazioni particolarmente sfortunate come quelle in cui, nonostante la neoplasia sia scoperta e asportata ancora molto piccola, in fase precoce, poi si sviluppano metastasi - dice Massimo Di Maio, consigliere nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica e direttore dell’Oncologia all’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino -. Oppure addirittura la paziente arriva alla diagnosi già metastatica, senza che il tumore iniziale si sia ancora sviluppato».

Studi su campioni di tessuto umani
Il team tedesco aveva già scoperto che le cellule malate possono diffondersi da tumori invasivi, caratterizzati da mutazioni genetiche particolarmente sfavorevoli, ma anche da carcinomi ai primi stadi, generalmente considerati incapaci di dare metastasi. Ora, nei due recenti studi, condotti per ora su modelli animali e testati in campioni di tessuto umani, i ricercatori hanno identificato i primi meccanismi che consentono alle cellule cancerose di sparpagliarsi nell’organismo anche se la malattia è alle sue fasi iniziali. Entrambe le indagini hanno esaminato tipi di tumore mammario molto iniziali, compresi modelli di carcinoma duttale in sito, una tipologia nota per essere non invasiva.

Il ruolo chiave di HER2, p38 e delle cellule dormienti
L’indagine americana ha scoperto che due alterazioni molecolari (un oncogene “attivato”, HER2, e un soppressore tumorale “spento”, p38) fanno in modo che le cellule neoplastiche ricevano il messaggio di spostarsi dal tessuto mammario verso i polmoni e poi in altre parti del corpo. Inoltre appare chiaro che la maggior parte di queste cellule che migrano precocemente restano dormienti e riescono quindi a scampare l’attacco della stragrande maggioranza dei farmaci (chemioterapia e target therapies) che vanno invece a colpire le cellule attive, quelle che proliferano.
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Metastasi ma nessun tumore originario
«Ci sono ancora fenomeni che non sappiamo spiegare - dice Julio A. Aguirre-Ghiso, autore principale dello studio Usa -, come quel 5 per cento di donne con cancro al seno che hanno metastasi, ma nessun tumore originario. Oltre a quei casi così aggressivi da resistere a tutte le terapie e diventare letali. Ora facciamo un passo avanti, capiamo qualcosa in più». Il secondo studio, quello coordinato in Germania da Cristoph Klein e condotto in modo indipendente dal primo, aggiunge ulteriori informazioni in questo stesso senso.

Chi è più a rischio di avere forme aggressive
«Le nuove tecnologie e gli studi sempre più approfonditi sul Dna - chiarisce Di Maio - ci stano aiutando a comprendere cose che finora ci sfuggivano e catalogavamo come “sfortuna”, in attesa di saperne di più. Come, per esempio, perché ci sono tumori piccolissimi che diventano molto aggressivi e danno metastasi, mentre altri di grande volume non ne danno. O perché, a volte, ci sono metastasi senza che il tumore primario si sia formato. Ci è più chiaro il meccanismo di controllo delle cellule malate e della loro proliferazione, la biologia dei diversi tumori, quali sono i geni coinvolti con un ruolo-chiave. Lo scopo è chiaramente riuscire a capire meglio chi è più a rischio di avere forme aggressive, ricadute, metastasi, per poter prescrivere subito la terapia più adeguata. Resta il fatto - conclude l’esperto - che la diagnosi precoce è fondamentale e nella stragrande maggioranza dei casi individuare un tumore piccolo, in fase iniziale, significa salvarsi la vita. Come dimostra il miglioramento della sopravvivenza nelle donne con cancro al seno, che oggi sfiora il 98 per cento. Tuttavia dopo l’intervento chirurgico non sappiamo quali pazienti “andranno male” e con queste nuove scoperte possiamo invece valutare meglio la probabilità e calcolare chi necessita di trattamenti più intensi o con determinati farmaci».

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