Inibitori dell'aromatasi, attenzione alle ossa

   Saluteseno.it, Marta Impedovo, 15/03/2017

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Uno studio dell’Università di Brescia e dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ha quantificato gli effetti sulla salute delle ossa della terapia adiuvante per le donne in post-menopausa con tumore al seno


Gli inibitori dell'aromatasi sono farmaci fondamentali in molti casi di tumore al seno “sensibile agli ormoni femminili”, ma possono mettere a rischio la salute delle ossa. Secondo uno studio italiano condotto dall’Università di Brescia e dall’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e pubblicato sulla rivista scientifica Bone, le donne che si assumono questa terapia, infatti, perdono circa il 6% di massa ossea ogni anno e hanno un elevato rischio di fratture vertebrali.

La terapia. Gli inibitori dell'aromatasi (anastrozolo, exemestane e letrozolo) vengono prescritti frequentemente alle donne in post menopausa con tumore al seno recettivo agli ormoni (ER positivo), per ridurre il rischio di recidiva. Ogni anno, sono circa 250 mila le donne che assumono questi farmaci per terapie della durata di 5 anni, in alcuni casi anche 10. “La terapia adiuvante con inibitori delle aromatasi è un pilastro fondamentale della terapia oncologica, ma ha un pesante impatto sulla salute delle ossa”, spiega Andrea Giustina, direttore della Cattedra di Endocrinologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e autore dello studio. L’effetto del farmaco di ridurre drasticamente la quantità di estrogeni in circolo nell’organismo è infatti funzionale al controllo del tumore, ma dannoso per le ossa.

Lo studio. La ricerca ha coinvolto 263 donne in post menopausa con tumore al seno ER positivo in stadio iniziale. Le volontarie erano divise in due gruppi: un gruppo (94 donne) in terapia con inibitori delle aromatasi e un gruppo di controllo (169 donne) non trattato. Le partecipanti sono state sottoposte a misurazione della densità ossea e a morfometria vertebrale, esame che permette di valutare l’altezza delle singole vertebre e quindi identificare eventuali fratture vertebrali esistenti. “Lo studio che abbiamo condotto si basa su un concetto nuovo:cercare le fratture vertebrali più subdole e senza sintomi, non quelle evidenti come anca e femore, che non possono sfuggire alle pazienti”, spiega Alfredo Berruti, docente di Oncologia Medica all’Università di Brescia e autore dello studio: “Indagando la prevalenza di queste fratture 'nascoste', i numeri aumentano drammaticamente”. La prevalenza di fratture vertebrali è risultata ben più alta (31,2%) nelle pazienti in terapia adiuvante che nel gruppo di controllo (18,9%). Tuttavia, all’interno del gruppo di donne in terapia con inibitori dell'aromatasi, il numero di fratture era simile tra quelle che erano affette da osteoporosi e quelle con densità ossea nella media: un dato che dimostra come non sia solo una questione di densità dell’osso (che l’osteoporosi riduce), ma anche di qualità.

Prevenzione e monitoraggio. Tuttavia, una corretta attenzione alla salute delle ossa è ancora poco diffusa tra i professionisti che curano le pazienti oncologiche e circa il 45% delle donne con tumore al seno dopo la menopausa non riceve alcun trattamento di prevenzione delle fratture. “I nostri risultati - prosegue Giustina - hanno una rilevante importanza clinica e devono portare a un cambiamento nella gestione della fragilità scheletrica l’esame della morfometria vertebrale diventa di fondamentale importanza per il follow-up dello stato di salute ossea in queste pazienti, oltre a un trattamento farmacologico adeguato”.


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