36° CONGRESSO NAZIONALE A.N.D.O.S. ONLUS - INTERVISTA al Dott. Fabio Ricci a cura di Sandra Cervone

   www.buongiornolatina.it, Luca Giacanella, 27/05/2018

36° CONGRESSO NAZIONALE A.N.D.O.S. ONLUS 
INTERVISTA al Dott. Fabio Ricci a cura di Sandra Cervone

Ha appena terminato il suo intervento e gli applausi hanno espresso tutta la soddisfazione della platea composta per buona parte da donne di ogni parte d’Italia arrivate a Fondi per il 36^ Congresso Nazionale dell’ANDOS onlus. Lui è il prof. Fabio Ricci, Chirurgo Senologo, Direttore Clinico della Breast Unit del Santa Maria Goretti di Latina e ha spiegato, in modo chiaro e preciso, che cos’è e come funziona la Breast Unit cioè il centro multidisciplinare di senologia, fiore all’occhiello, da qualche anno della Sanità pontina e < modello organizzativo per la salute delle donne> che riscuote tanti plausi e attenzioni.

Se volessimo sintetizzare al massimo: cos’è una Breast Unit?
Un pool di specialisti dedicati alla gestione del tumore alla mammella che prende in carico le pazienti affette da tumore e le accompagna durante tutto il percorso diagnostico-terapeutico.

Il requisito base per la nascita di una B.U. ?
Operare oltre 150 cancri all’anno.

Quali i vantaggi per le donne e per il territorio?
Aumentano gli interventi conservativi (importanti per l’immagine corporea di una donna che vede nel seno un simbolo insostituibile della sua femminilità-personalità-sessualità-sensualità-maternità). Si eliminano gli squilibri territoriali e le diseguaglianze sociali; si riducono gli sprechi ottimizzando le risorse. Ma, soprattutto, aumenta di circa un 20% la sopravvivenza delle donne che si ammalano. Ed è per questo che associazioni come Europa Donna affermano che “Avere una B.U. è un Diritto,sostenerle è un Dovere”. Gli interventi, un tempo per lo più demolitivi (Mastectomia), oggi con la B.U. sono per la maggior parte di tipo conservativo e contemplano la Chirurgia Oncoplastica che coniuga la radicalità oncologica al massimo risultato estetico possibile. Nella Breast Unit di Latina, gli interventi (quadrantectomie, rimodellamenti, asportazione del linfonodo sentinella, etc) avvengono in day-surgery e in anestesia locale, con grande vantaggio psicologico per le donne che non restano a lungo lontane dalla famiglia e dal proprio ambiente, con un risparmio economico calcolato in oltre il 50%.

Nei suoi interventi lei parla spesso di rivoluzione culturale oltre che di evoluzione chirurgica della senologia…
Certamente! Perché si guarda sempre più alla qualità della vita delle donne operate e la paziente diventa il centro dell’agire medico. Tutto questo non avviene né sarebbe avvenuto senza una prima e una seconda rivoluzione culturale che le B.U. rappresentano sempre più e meglio….per intenderci: nella prima rivoluzione dalla fine degli anni 70 al 2000 la chirurgia senologica è passata grazie al paradigma del professor Veronesi, dal trattamento massimo tollerabile al trattamento minimo efficace, dal 2000 in poi la seconda rivoluzione, l’abbandono della medicina paternalistica, la cura della paziente e non della sola malattia,con gli operatori e le strutture che ruotano intorno alle esigenze e necessità della paziente.

Sono concetti che meritano un approfondimento, soprattutto per chi leggerà questa intervista…
Il trattamento minimo efficace si basa sulla necessità di avere una diagnosi precoce (da qui l’importanza dello screening); una positiva percezione dell’immagine corporea ( come una donna si vede, vuole essere vista, pensa gli altri la vedano) e dell’identità corporea ( il vissuto della donna, attraverso il seno), per mirare ad una migliore qualità della vita. Con un’attenzione particolare, rispetto al passato, agli aspetti riabilitativi e psicologici delle pazienti che vengono prese in carico e diventano protagoniste del percorso di cura che parte già dalla diagnosi.

L’affermazione del concetto del caregiver, una idea che prende spunto dall’affresco di Raffaello della terza stanza dei musei Vaticani,”la stanza dell’incendio di Borgo” , dove alla sinistra del dipinto si vede la figura di Enea con sulle spalle il vecchio padre malato Anchise, alla sua sinistra il figlioletto Ascanio e alle spalle la moglie Creusa, fuggiaschi da Troia in fiamme. Noi dobbiamo essere come Enea ( la sindrome di Enea), farci letteralmente carico della paziente, in una Alleanza Terapeutica, tra operatori sanitari, pazienti e familiari. La paziente viene accolta e costantemente aggiornata su tutto l’iter diagnostico-terapeutico e sulle sue variazioni.

La donna si sente accolta, rassicurata… assume un ruolo condiviso degli eventi
Una versione moderna del mito della caverna di Platone, la donna malata disorientata e confusa all’interno di una caverna buia. A differenza degli schiavi della caverna di Platone questa donna non ha catene fisiche, ma quelle che potremmo chiamare le catene della mente, rappresentate dalle proprie convinzioni, pregiudizi, sospetti, timori. Dobbiamo aiutarla a liberarsi di queste catene.

La paziente che passa dal buio della voragine dove è precipitata alla notizia di essere ammalata, alla “Spirale Virtuosa” che la porterà dalle tenebre della malattia alla luce della guarigione. Volendo riassumere diciamo che le B.U. e le cure del tumore al seno devono costituire un diritto per le donne. Un Diritto Naturale perché comune a tutti gli individui, dalla nascita; un Diritto Universale poiché è identico per tutti, indipendentemente dalla razza, l’etnia, la religione, le condizioni socio-economico e culturali. Un Diritto Inalienabile poiché non può essere ceduto e/o abolito e va conservato per la vita. Infine un Diritto Indivisibile poiché la sua violazione è una minaccia per tutti gli altri diritti.

Per tutto questo possiamo concludere affermando che la lotta contro il tumore al seno è una battaglia soprattutto culturale!
La Cultura costituisce il fattore chiave di questa battaglia per riposizionare “l’Uomo” al centro delle nostre conoscenze e strategie. Vede, c’è una frase di Nelson Mandela che amo molto e con la quale chiudo spesso i miei interventi pubblici che recita: ”La cultura è l’arma più potente che possiamo utilizzare per cambiare il mondo”.

Una speranza!?
Direi anche una convinzione, una certezza, sulla quale tutti noi della Breast Unit di Latina basiamo quotidianamente il nostro operato.


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