Tumore del seno, nuove strategie per ridurre il rischio di recidiva post-chirurgia

   www.www.corriere.it , Sportello Cancro, Vera Martinella, 29/12/2021

Tumore del seno, nuove strategie per ridurre il rischio di recidiva post-chirurgia

Oltre il 20% delle donne operate per cancro ai primi stadi va incontro a ricaduta a 10 anni. La terapia estesa, con un farmaco mirato innovativo, in aggiunta all'attuale cura standard, fa calare il pericolo (anche di metastasi)

Anche se il tumore al seno è fra quelli con le percentuali di sopravvivenza migliori, tanto che nove donne su dieci in Italia sono vive cinque anni dopo la diagnosi, servono nuove strategie di cura efficaci. Questa neoplasia resta infatti non solo la più diffusa fra le donne del nostro Paese (nel 2020 sono stati individuati 55mila i nuovi casi e stimate in circa 37mila le italiane che convivono con una forma metastatica), ma anche la prima causa di morte per cancro. Un triste primato dovuto all'elevata frequenza del carcinoma mammario, alla particolare aggressività di alcuni sottotipi e anche alla possibilità di avere ricadute a distanza di molti anni.

Ridurre le probabilità di recidiva
Proprio per ridurre al minimo le probabilità che la malattia si ripresenti, o che progredisca in metastasi, è decisivo stabilire come procedere al meglio dopo l'intervento chirurgico e farlo in modo tempestivo. Come? Con la cosiddetta terapia adiuvante, che si basa su più farmaci e viene scelta in base a diversi parametri. Oggi le statistiche indicano che il 23% delle pazienti va incontro a una recidiva a 10 anni. Anche se la malattia è stata scoperta ai suoi primi stadi e sono operate in modo tale che la neoplasia venga radicalmente asportata. «In questa popolazione — spiega Paolo Marchetti, ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma e presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata —, il trattamento sistemico adiuvante con la chemioterapia, la terapia ormonale e un anno di terapia biologica con l’anticorpo anti-HER2 trastuzumab rappresenta oggi lo standard di cura ed è in grado di ridurre il rischio di recidiva e di morte. Trastuzumab ha infatti migliorato, ma non eliminato, il pericolo che la malattia si ripresenti. Una percentuale di pazienti infatti continua a recidivare con un picco di incidenza a 18-24 mesi dalla chirurgia, anche se alcune presentano recidive tardive anche a 10 anni di follow-up. L’evento più rilevante dal punto di vista clinico, nel carcinoma mammario operato radicalmente, è proprio la comparsa di recidive a distanza, che si associa a un drammatico peggioramento prognostico».

Lo studio ExteNET
In questo contesto si inserisce il lavoro di moltissimi ricercatori che studiano nuove cure in grado di potenziare le terapie post-chirurgia e far calare le probabilità di ricaduta e metastasi. E a tal proposito, di recente, durante il congresso annuale dedicato a questa neoplasia negli Stati Uniti, il San Antonio Breast Cancer Symposium, sono stati presentati i dati aggiornati dello studio ExteNET su un nuovo farmaco, neratinib, una terapia mirata in grado di ridurre il rischio di recidiva, di morte e di metastasi cerebrali nelle pazienti con tumore della mammella in stadio iniziale con recettori ormonali positivi e iperespressione della proteina HER2. Lo studio ExteNET ha coinvolto 2.840 donne con carcinoma della mammella in stadio iniziale, positivo ai recettori ormonali e che sovraesprime la proteina HER2, trattate per 12 mesi con neratinib, dopo aver completato il trattamento adiuvante standard di un anno con una terapia anti-HER2 (trastuzumab). I risultati della sperimentazione hanno dimostrato che l’estensione della terapia adiuvante permette di ridurre del 42% il rischio di recidiva a cinque anni e i dati aggiornati hanno evidenziato che neratinib può dimezzare il rischio di morte ed è in grado di ridurre di due terzi il rischio di sviluppare metastasi cerebrali. «Le percentuali di guarigione sono ancora lontane dal teorico 100% a cui, idealmente, vogliamo tendere — continua Marchetti —. Neratinib è già stato approvato in Europa ed è rimborsato in diversi Paesi, ma non ancora in Italia. È importante che, anche nel nostro Paese, le pazienti possano accedere quanto prima alla terapia adiuvante estesa per ridurre le possibilità di ricaduta e aumentare la sopravvivenza».

Vantaggi per 4 donne su 10 a rischio ricadute
«A un follow up di 5 anni neratinib ha dimostrato di ridurre il rischio di recidiva del 42% — chiarisce Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare all'Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli —. Questo significa che il farmaco può ridurre quasi alla metà le recidive a distanza nei primi cinque anni. La molecola, quindi, è potenzialmente in grado di guarire 4 su 10 delle donne che altrimenti svilupperebbero recidive. Si tratta di risultati di grande impatto e sulla cui rilevanza clinica non si può dubitare. Peraltro, il Pascale è il centro in Italia e in Europa che ha maturato la maggiore esperienza su pazienti trattate con neratinib. È importante sottolineare, inoltre, che i dati aggiornati esposti al San Antonio Breast Cancer Symposium indicano che il neratinib è in grado di ridurre il rischio di metastasi cerebrali (quelle a prognosi peggiore) di ben due terzi». Ogni anno in Italia circa 46.200 donne (l'84% del totale dei nuovi casi anni diagnosticati) arrivano alla diagnosi di cancro al seno in stadio iniziale (I-II-III) e circa 4.150 (il 9%) sono caratterizzate sia da sovraespressione della proteina HER2 (HER2+) sia dalla co-espressione dei recettori ormonali. «L’evoluzione della malattia da stadio iniziale a ricorrente o metastatico ha un impatto negativo non solo sulla sopravvivenza delle pazienti, ma anche sulla loro qualità della vita e su quella dei caregiver — prosegue De Laurentiis —. Ridurre le recidive significa, inoltre, contenere il considerevole costo per il sistema in termini di farmaci, visite e ospedalizzazioni necessari quando la malattia metastatizza. Bisogna consentire anche alle pazienti italiane di iniziare una terapia potenzialmente curativa che non peggiora la qualità di vita, con la possibilità di prevenirne e gestirne la tossicità».

Aderenza terapeutica
Le sperimentazioni evidenziano che le donne che riescono a completare il trattamento adiuvante esteso di 12 mesi con neratinib ottengono il massimo beneficio, in termini di prevenzione delle recidive a distanza. L’aderenza terapeutica è fondamentale: infatti, il beneficio clinico assoluto in termini di sopravvivenza libera da malattia invasiva a 5 anni passa dal 5,1% al 7,4% per chi completa il trattamento di 12 mesi con neratinib e la riduzione delle recidive aumenta da un terzo alla metà. Inoltre, dati aggiornati dello studio ExteNET presentati a giugno al congresso della Società americana di oncologia medica (Asco) hanno dimostrato che la molecola, a un follow up mediano di 8 anni, dimezza il rischio di morte nelle pazienti che non hanno avuto la risposta patologica completa dopo la chirurgia. Quali sono le vie da seguire per mantenere le pazienti in trattamento? «La risposta viene dai risultati finali di un altro studio (CONTROL) illustrato a San Antonio — conclude Marchetti —. Sappiamo che la diarrea è l’evento avverso più comune. Sia la prevenzione medica con profilassi antidiarroica che la titolazione iniziale della dose di neratinib possono ridurre drasticamente l’incidenza della diarrea e le relative interruzioni del trattamento. In particolare, il progressivo incremento della dose con regime settimanale è l’approccio più promettente e di facile implementazione. Così le interruzioni definitive della cura sono diminuite dall’11,7% al 3,3%».


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