Preservare la fertilità dopo il cancro al seno è possibile

   Sportello Cancro, Vera Martinella, 14/01/2016

LO STUDIO
Nuove conferme per una sperimentazione d’eccellenza italiana pubblicata su Jama: si può avere un figlio dopo la chemioterapia grazie a un ormone che protegge le ovaie

Il tumore al seno, si sa, è la neoplasia più frequente nelle donne, ma fortunatamente la mortalità è in calo e le guarigioni sfiorano il 90 per cento. Sebbene nella stragrande maggioranza dei casi la malattia colpisca dopo i 50 anni i casi sono in continuo aumento (in Italia sono 48mila le nuove diagnosi ogni anno), l’incidenza nelle 30-40enni è in crescita e sono circa 3mila le italiane che ogni anno vanno incontro a una diagnosi di cancro al seno prima dei 40 anni. Non di rado, però, la qualità di vita delle pazienti viene compromessa dalla perdita della funzione ovarica causata dalla chemioterapia e molti sforzi sono stati fatti per preservare la fertilità delle donne in modo tale che, finite le terapie, possano riappropriarsi interamente della propria esistenza. Inclusa, se lo desiderano, la possibilità di avere un figlio. Proprio a questo argomento la rivista scientifica Jama ha dedicato nei giorni scorsi un editoriale , che accompagna la pubblicazione di uno studio italiano che conferma l’efficacia di una nuova strategia per evitare nelle giovani donne la menopausa precoce indotta dalla chemioterapia.

Quali sono i sintomi del cancro del seno?
Sperimentazione italiana: con gli ormoni si proteggono le ovaie
Il nostro Paese è in realtà all’avanguardia su questo fronte e anche lo scorso giugno 2015 uno studio italiano era stato riconosciuto fra le più importanti novità dell’anno dagli esperti americani dell’Associazione americana di oncologia. «E’ sempre meno raro che le pazienti giovani si ritrovino a fare i conti con la neoplasia prima di avere avuto un figlio - dice Lucia Del Mastro, direttore dell’Unità Sviluppo Terapie Innovative al San Martino-Istituto Tumori di Genova, autrice degli studi salva-fertilità il cui valore è stato riconosciuto a livello mondiale -. Per poter avere una gravidanza si possono congelare gli ovuli prima del trattamento anticancro per poi procedere, a guarigione avvenuta, alla fecondazione in vitro. Ma le sperimentazioni che abbiamo condotto dimostrano che è possibile proteggere la funzione ovarica dagli effetti tossici della chemioterapia somministrando alle pazienti dei farmaci (ormoni analoghi dell’LHRH, ampiamente usati come terapia antineoplastica nei carcinomi della mammella) che mettono le ovaie “a riposo” durante i trattamenti in modo che non vengano danneggiate».

Conferme dal nuovo studio: strategia efficace e sicura
Lo studio italiano guidato da Del Mastro aveva arruolato, tra il 2003 e il 2008, 281 donne in pre-menopausa (l’età media era 39 anni) con un tumore del seno candidate a chemioterapia: a metà di loro era stata somministrata in aggiunta ai farmaci anticancro anche la triptorelina per salvaguardare la funzione delle ovaie. «Nell’articolo da poco pubblicato su Jama riportiamo i dati aggiornati sull’esito della sperimentazione in queste pazienti – spiega Del Mastro, durante un convegno organizzato a Genova per fare il punto sulle novità terapeutiche per il cancro al seno -. A diversi anni di distanza dalle terapie appare evidente che, rispetto alle donne curate con la sola chemioterapia, quelle che hanno ricevuto anche la cura ormonale con triptorelina hanno maggiori probabilità, sul lungo periodo, di recuperare la normale funzionalità delle ovaie. Il ritorno delle mestruazioni si è verificato nel 72,6 per cento delle pazienti sottoposte alla cura sperimentale e nel 64 di quelle che avevano fatto solo chemio. Inoltre nel primo gruppo abbiamo avuto 8 gravidanze e nel secondo 3. Appare anche chiaro che questa strategia è sicura, ovvero non espone le pazienti a pericoli maggiori di ricaduta del tumore».