Lo stress cronico (almeno nei topi) favorisce la diffusione del cancro

   Sportello Cancro, Vera Martinella, 06/03/2016

RICERCA AUSTRALIANA
Uno studio porta nuove conferme sul legame tra stress e metastasi e indica alcuni possibili meccanismi biologici responsabili. Luigi Grassi (Università di Ferrara): «Azzardato trasferire tout-court risultati ottenuti in cavie sull’uomo»


Lo stress cronico accelera la diffusione di un tumore
La dimostrazione arriva, su cavie di laboratorio, da uno studio australiano appena pubblicato sulla rivista Nature Communications le cui conclusioni indicano che i topi sottoposti a una persistente tensione fisica e psicologica vanno incontro a cambiamenti psicologici che inducono le cellule cancerose a muoversi più velocemente e diffondersi in altri organi del corpo. «Da moltissimi anni pazienti e scienziati si interrogano sul ruolo che lo stress potrebbe avere nel causare un tumore o nel favorire la sua progressione – spiega Luigi Grassi, presidente onorario della Società Italiana di Psiconcologia e direttore della Clinica Psichiatrica all’Università di Ferrara -. Sono stati condotti numerosi studi scientifici che hanno portato a risultati simili a questi ultimi nelle cavie, ma per quanto riguarda gli esseri umani non esistono prove che dimostrino l’esistenza di un legame».

Stress e infiammazione favoriscono la crescita delle metastasi
Per la loro indagine, il team di ricercatori guidato da Erica Sloan e Caroline Le della Monash University di Victoria, in Australia, hanno sottoposto le cavie per periodi prolungati a condizioni che le facessero sentire spossate, affaticate, come in uno stato di frustrazione per l’impossibilità di sopravvivere a una determinata situazione. Gli esiti dell’esperimento hanno mostrato che i topi stressati hanno sviluppato un numero maggiore di metastasi rispetto a quelli che, pur malati delle stesse forme di cancro, non erano stati sottoposti a condizioni psico-fisiche logoranti. «Dalle nostre analisi emerge che uno stress cronico attiva una reazione del sistema nervoso simpatico che induce la progressione del tumore – spiega Le -. In pratica l’adrenalina, messa in moto da una protratta situazione snervante, aumenta il numero e le dimensioni dei vasi linfatici dentro e attorno alla massa tumorale, creando così una sorta di “via di fuga” amplificata per le cellule cancerose che riescono a diffondersi meglio in tutto l’organismo. Questa scoperta suggerisce quindi che bloccando o limitando, con gli appositi farmaci già disponibili, gli effetti dello stress e dell’infiammazione cronica che ne deriva si può arginare la diffusione delle metastasi. Abbiamo già avviato test in questo senso sui topi e stiamo conducendo una sperimentazione su donne con cancro al seno: gli esiti paiono confermare le nostre ipotesi».

Trasferire risultati ottenuti in topi sull’uomo è azzardato
«Il dato relativo al ruolo dello stress indotto su cavie (tramite ad esempio intrappolamento, sovraffollamento in gabbie, ruote girevoli, isolamento forzato dal gruppo) nel facilitare l’insorgenza di tumori indotti in animali (topi a cui sono stati inoculati virus oncogeni) è stato confermato a partire da studi condotti dagli anni Settanta del Novecento – commenta Grassi -. E ulteriori prove sono arrivate più recentemente anche da trial americani. Quindi questa ricerca australiana è un’ulteriore dimostrazione e, in aggiunta, indica alcuni dei possibili meccanismi biologici che potrebbero stare alla base del nesso stress-cancro. Ma trasferire tout-court questi dati sull’uomo risulta azzardato, perché lo stress non rappresenta di per sé un fattore oncogeno, ovvero capace di indurre da solo una proliferazione tumorale maligna. Conosciamo bene diversi elementi che provocano il cancro nell’uomo – continua Grassi -: c’è il ruolo della genetica, quello giocato dai fattori ambientali o dalle abitudini scorrette (come fumo, dieta non equilibrata, sovrappeso, sedentarietà), ad esempio. Infine, per essere certi che esista una relazione di causa-effetto, sarebbe necessaria una maggiore specificità nello studio dei rapporti tra cancro (quale tipo di cancro, visto che le forme neoplastiche sono numerosissime e) e stress (quali tipi di stress nell’uomo)». E non è finita qui: «Di fatto nell’uomo è la risposta emozionale del soggetto a definire come stressante o non stressante una determinata cosa o situazione – precisa l’esperto -, quindi l’intermediazione dell’elaborazione psichica (che ovviamente manca nell’animale) rende estremamente più complessa questa relazione. Certamente va però anche segnalato come la letteratura scientifica abbia da tempo confermato nell’uomo che alcune modalità con cui le persone affrontano gli eventi stressanti (senso di disperazione, d’impotenza, d’inevitabilità e repressione delle emozioni) si associano a livello biologico ad un indebolimento delle difese psichiche».

Misurare il disagio emozionale nei pazienti oncologici è fondamentale
A proposito di stress, un discorso differente può invece essere fatto per chi è già malato di tumore. Secondo diversi studi condotti a livello internazionale circa un terzo delle persone affette da cancro (fra il 30 e il 35 per cento) mostra sintomi di stress e sofferenza psicologica, soprattutto ansia e depressione, che finiscono non solo per peggiorare la loro qualità di vita, ma possono interferire in maniera indiretta anche sulla qualità. «L’accumularsi di eventi stressanti, mal elaborati (con comparsa ad esempio di reazioni di ansia protratta o stati depressivi significativi) ha sicuramente implicazioni sul sistema biologico, neurovegetativo, endocrino, immunitario, in maniera cioè sistemica sull’organismo, indebolendolo – conclude Grassi -. Per quanto i dati sull’associazione diretta con una peggioramento della prognosi negli ammalati siano solo parziali e in parte contradditori (e ancora una volta dipendenti dal tipo di patologia neoplastica, dallo stadio, dalle terapie), soprattutto nelle persone ammalate il livello di stress e disagio emozionale dev’essere monitorato con grande attenzione. Andrebbe controllato di routine, come il dolore o altri parametri importanti per curare il tumore. Non tutti i malati hanno necessariamente bisogno di un supporto psicologico, ma è fondamentale che se c’è una sofferenza sia colta precocemente e si intervenga subito perché molto può essere fatto per risolverla o alleviarla, restituendo alle persone una buona qualità di vita».