Prevenire l'osteoporosi si può

   Salute seno, Tiziana Moriconi, 23/03/2016

Le donne lo sanno: il trattamento del cancro al seno con gli inibitori dell'aromatasi aumenta la fragilità ossea, soprattutto nelle giovani. Purtroppo, però, sono ancora poche quelle che ricevono una terapia preventiva


Ogni anno circa 250mila donne italiane cominciano la terapia ormonale adiuvante dopo aver subito un intervento per tumore al seno. Di queste – secondo dati di studi internazionali – circa il 60% soffre già di problemi alle ossa (osteopenia) mentre il 18% è malato di osteoporosi. Per le altre, spesso le più giovani, il rischio di fragilità ossea aumenterà per l'azione della terapia. Le donne lo sanno ma, nonostante questo, non riescono a ottenere dai medici il trattamento preventivo, come peraltro indicano le Linee Guida Nazionali sia di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) che di SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro). Lo conferma un’indagine condotta da Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna, svolta grazie al contributo incondizionato di Amgen, su un campione di 81 donne, con un’età compresa tra 32 e 81 anni, affette da tumore alla mammella in terapia ormonale adiuvante con inibitori dell’aromatasi (vai al dossier sulle terapie farmacologiche per il cancro al seno).

Il rischio di osteoporosi nelle donne in terapia. L’87% delle donne si dichiara consapevole e ben informata sul fatto che l’osteoporosi sia una possibile conseguenza della terapia con inibitori dell’aromatasi. Oltre la metà delle intervistate teme gli effetti negativi della terapia e l’osteoporosi è la conseguenza che spaventa maggiormente: ben 7 donne su 10 la citano ancora prima di un’eventuale inefficacia della terapia antitumorale. Importante il ruolo dell’oncologo che informa correttamente le sue pazienti nel 99% dei casi. Ma, nonostante questo, il 43% non comincia alcun trattamento per prevenirla e la percentuale sale addirittura al 76% tra le donne più giovani che, invece, necessiterebbero di più attenzione proprio per l’impatto potenzialmente maggiore delle fratture in termini sociali e di salute.

Come prevenire. Come fare quindi a seguire, fin dall'inizio, un percorso per la tutela della salute delle ossa? “Si deve partire da un’analisi della massa ossea, cercando di comprendere quanto incidano ogni anno le terapie ormonali e individuando tutte le popolazioni più a rischio: donne in pre-menopausa che fanno trattamento soppressivo con LHRH, o in post-menopausa che iniziano un trattamento con inibitori dell’aromatasi, o ancora in post-menopausa che passano da tamoxifene a inibitori dell’aromatasi”, spiega Daniele Santini, oncologo medico all'Università Campus Bio-Medico di Roma. Per esempio, chi fa inibitori dell’aromatasi in età avanzata perde circa il 3% dell’intera massa scheletrica ogni anno, mentre le più giovani, a cui viene indotta la menopausa mediante soppressione ovarica, ne perdono il 7% nello stesso periodo di tempo.

I problemi delle ossa. “È anche importante comprendere che le conseguenze della perdita di massa ossea non riguardano solo la quantità di tessuto osseo, ma generano un’alterazione anche a livello qualitativo, il che implica un maggiore rischio di frattura anche senza alterazioni della densità minerale ossea”, va avanti l'oncologo. È importante capire anche di che tipo di frattura stiamo parlando perché, in genere, ci si focalizza sulla frattura sintomatica o su quella patologica senza tenere in considerazione le fratture morfometriche che in realtà sono molto importanti nella valutazione del rischio per questi pazienti. Basti pensare che chi ha fratture di questo tipo ha un aumentato rischio di mortalità.

La rimborsabilità. Insomma, parlare di osteoporosi potrebbe indurre nell'equivoco di voler valutare questa fragilità come si fa per la perdita ossea in fase di post menopausa, con un esame densitometrico che in realtà in questo caso è “cieco”. “Se noi utilizziamo, analogamente a quanto facciamo con osteoporosi postmenopausale, la densitometria come discriminante per scegliere chi trattare, ci sfugge circa il 70% delle donne che hanno già una frattura”, spiega Francesco Bertoldo, endocrinologo presso il Centro Malattie del Metabolismo Minerale e Osteoncologia del Policlinico GB Rossi, Università di Verona. Per questo le pazienti dovrebbero essere trattate in via preventiva, perché il rischio di frattura è elevato già nel primo anno dall’inizio della terapia ormonale adiuvante, e non è correlato all’età della paziente. Lo hanno scritto due importanti società scientifiche nelle loro Linee Guida, sulla base delle quali l'Aifa ha redatto la nuova nota 79 con l’aggiornamento dei criteri di rimborsabilità: basta iniziare la terapia con inibitori dell’aromatasi per poter accedere al rimborso di un farmaco antiriassorbitivo. Questo, mette le pazienti italiane in una situazione di privilegio rispetto agli altri Paesi.

Su questo fronte arrivano novità anche dalla ricerca. I dati dello studio di Fase III ABCSG-18, condotto su donne operate per tumore alla mammella in trattamento con inibitori dell’aromatasi che assumevano denosumab o placebo mostrano come il farmaco produca una riduzione del 50% del rischio di comparsa di frattura clinica, e una riduzione del rischio di ricomparsa della malattia che si attesta intorno al 18%. “In altre parole il trattamento con denosumab ha ridotto il rischio di ricomparsa della malattia. In particolare, le donne che sembrano beneficiare maggiormente di questa terapia sono quelle con recettori positivi a estrogeni e progesterone, quelle con tumore di dimensioni superiori a due centimetri e quelle che iniziano il trattamento con denosumab simultaneamente agli inibitori dell’aromatasi”, conclude Santini. “Un’altra conferma è arrivata dalla meta-analisi dell’Early Breast Cancer Trialist Group, pubblicata su Lancet, che mostra come anche altri antiriassorbitivi, quali alendronato e acido zoledronico, siano capaci di ridurre il rischio di ricomparsa della malattia nelle donne in post-menopausa”.


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