Se lavorare previene la nausea da chemio

   Salute seno, Tiziana Moriconi, 01/04/2016

Uno studio dell'Ospedale San Raffaele e dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano suggerisce che portare avanti le proprie attività professionali anche durante le cure possa avere un ruolo protettivo contro uno degli effetti avversi più invalidanti

Lavorare ed essere attive sembra ridurre il senso di nausea nelle donne in chemioterapia. A suggerirlo è un interessante studio dell'Ospedale San Raffaele e dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano che ha indagato i fattori sociali e psicologici che potrebbero mitigare gli effetti collaterali più comuni dei farmaci oncologici. Tra quelli che più compromettono la vita quotidiana vi sono la nausea e la fatigue. Le autrici della ricerca, Giorgia Mangili - responsabile dell’oncologia ginecologica - e Valentina Di Mattei - ricercatrice in psicologia e in servizio presso l'ospedale - hanno deciso di unire le loro competenze per cominciare a occuparsi del primo aspetto.

“Si tratta di un studio preliminare – precisa Giorgia Mangili– che però fa seguito alle nostre esperienze quotidiane e che rientra appieno nella nostra filosofia: quella di dare importanza agli effetti avversi delle terapie, che incidono pesantemente sulla qualità di vita delle donne, e cercare il modo di mitigarli”.

Gli effetti collaterali più invalidanti. La nausea e il vomito sono due riflessi protettivi di base contro l’assorbimento delle tossine e in risposta a determinati stimoli. I meccanismi sottostanti la nausea, però, non sono ancora noti. “Oggi fortunatamente, gli episodi di vomito sono abbastanza rari, ma a dare fastidio è la nausea: soprattutto quella detta 'tardiva', che si manifesta dopo circa 24 ore dalla somministrazione e che non risponde bene ai farmaci antiemetici. Dà fastidio anche perché ricorda costantemente alle donne di essere malate”.

Lo studio. Tra il 2014 e il 2015, le due ricercatrici hanno arruolato 94 pazienti tra i 35 e gli 84 anni in cura per un tumore ginecologico. Di queste, 36 (circa il 38%) hanno avuto episodi di nausea in fase acuta, mentre 43 (circa il 46%) hanno avuto episodi di nausea tardiva; 6 pazienti, inoltre, hanno avuto vomito in fase acuta, e 16 in fase tardiva. Ventiquattro pazienti stavano lavorando durante i trattamenti. Tutte hanno compilato una serie di questionari e sono state seguite da un team di giovani psicologhe.

Il lavoro come fattore protettivo. I risultati di questo studio pilota, pubblicati su Cancer Nursing, suggeriscono che alcuni fattori possano avere un fattore protettivo, mentre altri possano aumentare il rischio di soffrire di nausea. In particolare, la giovane età, un alto livello di ansia, l'uso di alcolici e l'aver già sofferto di nausea in precedenza sembrano essere fattori di rischio, mentre un'età più avanzata e una vita lavorativa attiva sembrano essere fattori protettivi.

Uscire dall'isolamento. “I numeri sono piccoli, ma ci danno una prima conferma di quello che pensavamo: che mantenere una vita lavorativa anche durante la cura possa essere un fattore protettivo per questo sintomo”, commenta Di Mattei. “Da un punto di vista psicologico, questo effetto si potrebbe spiegare in termini di identità: più mi identifico con il mio 'io lavorativo', meno mi identifico con il mio 'io malato', e la mia reazione è più forte”.

“Dobbiamo certamente ricordare che non è solo questione di volontà: molte donne non si sentono bene e non riescono ad andare a lavorare il giorno dopo aver fatto una chemioterapia”, aggiungono Di Mattei e Mangili. “Va anche detto che probabilmente non è solo il fatto di lavorare o meno a incidere, ma di avere una vita attiva: di uscire da quell'isolamento di cui soffrono moltissime donne in chemioterapia. Spesso si tende a non uscire, a chiudersi in casa, mentre stiamo osservando anche il solo passeggiare all'aria aperta può avere degli effetti sorprendenti. E' interessante notare, inoltre, che, stando ai dati presenti nella letteratura scientifica, a soffrire di nausea siano più le donne degli uomini. Se i questi primi risultati saranno confermati, potranno servire per creare percorsi di assistenza ad hoc e modelli di lavoro flessibile, che aiutino le donne a non perdere la propria identità”.

Salute allo Specchio. All’interno dello stesso reparto di Ginecologia ed Ostetricia – diretto dal Professor Massimo Candiani - le due ricercatrici hanno già ideato un percorso per contrastare un altro degli effetti più destabilizzanti di alcune terapie: la perdita temporanea dei capelli. Nel 2013 hanno creato il progetto Salute allo Specchio, un programma che aiuta le donne a recuperare il contatto con la loro dimensione fisica ed estetica, per combattere la depressione che spesso segue i trattamenti oncologici. Anche questo nuovo studio è “figlio” di Salute allo Specchio: di fondo vi è l'idea di prendersi cura, e non solo di curare, le donne con un tumore.


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