Attacco al “cuore” del tumore

   Salute Seno, Tiziana Moriconi, 29/04/2016

Una nuova nanotecnologia ha permesso, nei topi, di distruggere le cellule del cancro al seno metastatico fino a ottenere, in alcuni casi, remissione completa dalla malattia

Potrebbe sembrare la trama di un film di fantascienza. Con navicelle che si immettono nei canali nemici, e rilasciano piccole sentinelle in grado di arrivare, camuffate, nei centri operativi, e distruggerli. Trasportiamo tutto questo all'interno di un organismo vivente in cui il nemico è un tumore, e avremo un'idea di quello che hanno realizzato allo Houston Methodist Research Institute, in Texas.

La tecnologia si chiama Injectable Nanoparticle Generator (iNPG): è esattamente come una minuscola navicella in cui sono nascoste nanoparticelle – chiamate pDox – che trasportano Adriamicina, uno dei più comunichemioterapici.

Le iNPG hanno due caratteristiche che le rendono preziose: sono in grado di immettersi nel sistema vascolare che nutre il tumore e tendono ad accumularsi nei polmoni e nel fegato, i siti più colpiti dalle metastasi del cancro al seno.

Una volta nel sistema vascolare, le iNPG permettono alle pDox di fuoriscire da nano-aperture. Anche le pDox hanno delle caratteristiche interessanti: si appallottolano e prendono “la forma” di altri composti che le cellule tumorali riconoscono come “amici” e che quindi non respingono. Ingannato il sistema di difesa del cancro, le pDox si avvicinano al nucleo e solo in quel momento, grazie a un cambio di pH, rilasciano il farmaco che uccide la cellula.

Lo studio che ha dimostrato le potenzialità di questa tecnologia è stato pubblicato su Nature Biotechnology. I ricercatori hanno testato le iNPG in topi con tumore al seno metastatico del tipo triplo negativo (l'unico per il quale non esiste al momento, una terapia mirata). Metà degli animali hanno raggiunto la completa remissione e sono sopravvissuti liberi dalla malattia quanto gli esemplari sani. L'altra metà è invece deceduta a causa della malattia, ma ha comunque vissuto più a lungo dei topi trattati con la terapia standard.

Non solo. A una settimana dal trattamento, i topi che avevano ricevuto le iNPG non mostravano segni di tossicità cardiaca (un noto effetto collaterale del farmaco), a differenza di quelli che avevano ricevuto l'adriamicina per via sistemica o con le sole pDox non veicolate da iNPG.

“Normalmente, meno dello 0,1% del farmaco riesce a raggiungere il tessuto tumorale, mentre il resto si accumula nei tessuti sani”, spiega Haifa Shen, tra gli autori dello studio. “Purtroppo, quando le cellule ricevono una quantità inferiore di farmaco rispetto a quella ottimale, spesso si adattano e sviluppano resistenza”.

“Siamo rimasti molto sorpresi dai risultati, per questo abbiamo ripetuto più volte la sperimentazione”, ha aggiunto Mauro Ferrari, presidente e ceo dello Houston Methodist Research Institute, oltre che senior investigator dello studio, che è durato 5 anni. “Si tratta di un nuovo modo di usare le nanotecnologie”, sottolinea Ferrari: “Il punto è rilasciare le nanoparticelle pDox quando hanno già raggiunto il microambiente tumorale”.

Il gruppo di ricerca spera di ottenere l'autorizzazione dalla Food and Drug Administration e poter dare il via agli studi clinici sulle donne entro la fine del 2017.


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