La maratona della vita che sfida il tumore al seno

   'Race for the cure': le donne che lottano correndo. Massimiliano Mungo e Flori Degrassi sulla lotta al tumore Italy-Race www.lindro.it/

'Race for the cure': le donne che lottano correndo. Massimiliano Mungo e Flori Degrassi sulla lotta al tumore
Italy-Race


La coraggiosissima lotta contro il tumore è, oggi, un sentiero pieno di speranze, ma ancora buio e spinoso. Chi si imbarca in questa lotta, è costretto a scendere in campo e a misurarsi con la possibilità di morire; che, se pure è una possibilità costante nella vita dell’uomo, essa è prepotentemente visibile soprattutto quando qualcuno dietro ad una scrivania ci dice che abbiamo un tumore. Uomini, donne, bambini, anziani, se la vita ci lancia la sfida, non ci si pensa: si lotta.
Oggi, la lotta contro il tumore al seno, fortunatamente, è una lotta piena di traguardi positivi, di ottimismo, di risultati confortanti. Questo perché “c’è più informazione e, molte donne, conoscono l’importanza dell’autopalpazione, che è la prima forma di prevenzione. La tecnologia medica, poi, è indubbiamente migliorata: oltre alla mammografia esiste anche la risonanza magnetica della mammella, in grado di rilevare un tumore di pochissimi millimetri, cioè un tumore che non ha praticamente fatto ancora danni veri e propri”, ci spiega Massimiliano Iannuzzi Mungo, Responsabile U.O. di chirurgia generale Clinica Villa Pia, Chirurgo generale per l’Ambasciata di Libia in Italia, specializzato anche in chirurgia oncologica, di cui ricordiamo un’operazione da record che coinvolse una donna di 59 anni con un tumore di 8 kg.
In Italia, però, ogni anno, sono 12 mila le donne che muoiono di tumore al seno. Per loro e per molte altre donne che stanno lottando, La Race for the Cure è l’evento simbolo ‘made in USA’, durante il quale, le donne che hanno affrontato personalmente il tumore del seno, dimostrano un atteggiamento positivo con cui si confrontano con la malattia: correndo ‘in rosa‘ (indossando, cioè, magliettina e cappellino rosa), per dire che non sarà certo il tumore a fermare la corsa (della vita). “Un evento molto importante che dovrebbe essere ripetuto più volte, perché coinvolge molte persone e favorisce una partecipazione capillare dei cittadini”, come ci dice Massimiliano Mungo. La maratona coinvolge i giorni 13,14 e 15 maggio, ed è organizzata da Susan G. Komen Italia, un’associazione che, senza scopo di lucro, da molti anni si batte per sostenere e supportare le donne che lottano contro il tumore al seno. Donne coraggiose che ogni giorno affrontano il pericolo di morire. Morire di ferite durissime, “ferite interiori drammatiche, che hanno dei tempi di cicatrizzazione difficili, che variano a seconda della persona e del supporto che questa ha a disposizione”, ci dice Flori Degrassi, Presidente dell’associazione onlus A.N.D.O.S. (Associazione nazionale donne operate al seno).

Il supporto: nel momento in cui ci si trova di fronte ad una realtà nuda e cruda (crudissima, in questo caso) da noi dipende la voglia di lottare, ma dal supporto dipendono i tempi e i modi di ripresa. Il supporto costituisce una parte integrante di molti successi, di molte vittorie. Vittorie che riguardano non solo la guarigione fisica, ma anche la complessa guarigione interiore. E un supporto che vuole ‘gareggiare’ come si deve, deve operare su più fronti. Un sopporto è “per tutta la vita della donna, sia prima che dopo l’operazione ; sia al momento della diagnosi, che dopo l’intervento, nell’ascolto del disagio e nella riabilitazione fisica”, precisa Flori Degrassi. E più la rete è ricca, più il supporto funziona. Perché una donna, in balia delle sue ansie e della sua paura di morire, non ha bisogno esclusivamente di una guarigione fisica. È fondamentale, dunque, che perché funzioni davvero, il supporto provenga da molti fronti: “donne che ce l’hanno fatta, medici, psicologi, fisioterapisti”, che siano in grado di medicare ogni tipo di ferita. E quando sono le donne stesse a rincuorarsi a vicenda, si scatena una magia chiamata empatia, perché “le donne che hanno già sconfitto il cancro, quando incontrano donne che stanno lottando, riescono a mostrare che c’è la prospettiva di una vita futura e la possibilità di vincere, di avere un futuro”. Il pensiero di poter avere ancora un futuro è un aiuto indispensabile, perché “la comunicazione di diagnosi è una comunicazione di morte e la persona si trova improvvisamente senza futuro. Ed è una cosa molto difficile da gestire” prosegue Degrassi.

E se parliamo, poi, di tutta una serie di ripercussioni importanti che una ‘diagnosi di morte’ porta con sé, dobbiamo parlare non solo degli effetti psicologici e fisici del paziente, ma anche degli effetti sulla famiglia, sul lavoro, sulla società.
Parliamo delle paure che cominciano a sgretolare le certezze del giorno prima. Come “la paura di non crescere i figli, la paura di non piacere e di non piacersi, infatti, in questo senso, è fondamentale anche una terapia di coppia per supportare la paziente”, prosegue Degrassi. Parliamo delle paure legate al lavoro, che dipendono molto “dal tipo di lavoro che una donna ricopre. Se è un libero professionista, per esempio, non è affatto tutelata. Se una donna fa la chemioterapia e la radioterapia non può lavorare e non può guadagnarsi da vivere. Anche quando torna al lavoro, spesso è discriminata, le viene proposto il part-time. Insomma, lavora al di sotto delle sue capacità”. E tutto questo comporta delle ferite interiori che devono essere ascoltate.

Ma, oggi, l’Italia, sa ascoltare? Sa offrire un supporto sufficiente, alle donne? Se parliamo del supporto educativo alla prevenzione, questo purtroppo è una crepa del nostro sistema, in cui c’è, sicuramente, un divario enorme tra domanda e offerta, come ci dice Degrassi: “le donne sono disponibili ma il punto è che a livello nazionale non tutte le regioni hanno raggiunto un livello di offerta di screening come previsto dagli standard. È il sistema che non risponde sufficientemente alla disponibilità delle donne a prevenire e a controllarsi”. Insomma, una pecca gravissima per il nostro Paese, quella di non saper concretamente supportare una cosa fondamentale come la prevenzione.

E proprio il tentativo di colmare questo divario è la parola d’ordine di molte grandi associazioni che lavorano da anni affinché le donne non si sentano sole e affinché controllarsi e prevenire diventi una routine priva di ostacoli, a cui le istituzioni devono saper rispondere adeguatamente. “Sicuramente, però, negli ultimi anni c’è un po’ più di sensibilità sulla prevenzione dei tumori al seno da parte della politica. Senza dubbio, sul fronte della prevenzione, i media sono molto importanti per un supporto educativo alla prevenzione, perché possono aiutare a capire che con la prevenzione si hanno moltissime possibilità di vincere”, ci fa notare Massimiliano Mungo. Vien da sé il fatto che ogni tipo di supporto, perché sia davvero efficace, secondo Mungo ha bisogno di “supporti economici importanti che coinvolgono i centri di ricerca, gli enti ospedalieri, le istituzioni…”.
Le gravi pecche del nostro Paese, tuttavia, costituiscono un problema molto meno grave, di fronte alle carenze indicibili in cui vivono altri Paesi in via di sviluppo. Come ci dice Mungo: “I programmi di cooperazione internazionale dovrebbero fare di più. Spesso vado a operare in Libia, dove molte donne hanno tumori estremamente avanzati, sia perché non esiste informazione e, dunque, prevenzione, sia per via di molti retaggi culturali. Non ci sono assolutamente campagne di prevenzione”.

Insomma, un cammino ancora tutto da disegnare quello della lotta contro il tumore al seno: una sfida che chiede coraggio, determinazione, ottimismo. Una lotta che ordina ad una donna di alzarsi e di fare una grande maratona. E, se magari la vince, ci dice Flori Degrassi, “la sua vita non sarà né migliore né peggiore, ma diversa. Sopraggiunge una nuova misura delle cose, perché le cose che succedono nella vita di una donna, che vince la lotta contro il tumore, hanno una rilevanza nuova, più oggettiva”.
Allora, se c’è un nome per quel tanto agognato traguardo di quest’amara maratona a cui non ci si può sottrarre, quel nome è ‘rinascita‘: quella per cui una donna torna alla vita. Sudata, stanca. E, quel che più importa, viva.


Leggi articolo originale