Per quanto tempo ancora ci potremo permettere di curare i tumori?

   Sportello Cancro, Adriana Bazzi, 19/06/2016

IL DOSSIER
I prezzi delle terapie oncologiche sono in continua crescita. Le aziende farmaceutiche si appellano alla ricerca, ma i sistemi sanitari sono al collasso. Le ipotesi allo studio per affrontare una crisi annunciata


C’è un effetto collaterale delle nuove terapie anticancro che gli americani chiamano «financial toxicity», tossicità finanziaria. La sua incidenza è maggiore negli Stati Uniti, ma non risparmia i Paesi europei, Italia compresa. Il problema è che gli antitumorali costano sempre di più e i pazienti rischiano di non avere più accesso alle cure. L’esplosione dei costi è anche dovuta ai nuovissimi immunomodulanti che vanno somministrati a tutti e per sempre, perché non si possono ancora selezionare i pazienti a differenza delle targeted therapy (cioè dei farmaci a bersaglio molecolare, costosi sì, ma che sono prescritti in maniera mirata in base alle caratteristiche genetiche del tumore e ai biomarcatori). Un anno di terapia con queste molecole, negli Usa, costa 100 mila dollari a paziente (circa 90 mila euro).

I parametri degli Stati Uniti
Di nuovi farmaci e di costi si è parlato all’Asco, il Congresso della Società Americana di Oncologia Medica, che ha visto a Chicago la partecipazione di oltre 30 mila esperti da tutto il mondo. Negli Stati Uniti sono le aziende che decidono il prezzo di vendita del prodotto, la sanità è in mano alle assicurazioni e spesso i pazienti devono pagare di tasca propria extra- costi per le medicine. E i medici hanno tutto l’interesse a usare farmaci costosi perché sono loro che li comprano e poi li rivendono ai pazienti, guadagnandoci. «In America esiste un algoritmo — spiega Pierfranco Conte, direttore dell’Oncologia Medica all’Università di Padova — che viene sottoposto ai pazienti e suggerisce loro di dare un voto ad alcuni parametri fra cui: l’efficacia del farmaco antitumorale che viene loro proposto, gli effetti collaterali e, infine, il costo. In base al punteggio ottenuto, il medico prescrive la cura».

Perché il prezzo è alto (ma non sempre è giustificato)
Diverso è il discorso per i Paesi europei con sistemi sanitari pubblici, dove sono le istituzioni a contrattare il prezzo con le aziende e a decidere la rimborsabilità del farmaco. Le terapie sono, comunque, care: oggi curare un malato di cancro costa, in media, cinquantamila euro all’anno. Occorre, perciò, ripensare alle modalità di «pricing» cioè ai parametri attraverso i quali si decide il prezzo di un farmaco e ai correttivi per ridurne i costi. L’industria ha sempre sostenuto che il prezzo dipende dagli elevati investimenti in ricerca e ai fallimenti cui vanno incontro molte molecole prima di arrivare in clinica. Ma oggi sono entrati in gioco altri parametri: quanto, per esempio, un farmaco può far risparmiare su altri interventi terapeutici, quanto aumenta la sopravvivenza di un paziente e a quali condizioni per la qualità della vita. «C’è però un dato di fatto, certificato dai Report delle industrie farmaceutiche a livello mondiale — continua Conte —. Già dopo 18 mesi dall’immissione in commercio di un farmaco l’industria rientra dagli investimenti. Il resto è tutto guadagno».

Ma perché i prezzi sono così elevati?
«Le multinazionali — argomenta Conte — hanno bisogno di attrarre investimenti per la ricerca così devono dimostrare che ogni anno fatturano almeno il 10 per cento in più rispetto a quello precedente. Come? Aumentando, appunto, il prezzo dei farmaci». A questo punto due considerazioni. La prima: non si può fare a meno dell’industria farmaceutica. La seconda: l’industria deve prendere atto che i sistemi pubblici e privati sono a fine corsa e che occorrono correttivi per cambiare rotta. «In tutti i Paesi del mondo occidentale la mortalità per molti tumori è diminuita nonostante l’aumento dell’incidenza — commenta Conte —. E questo è in parte attribuibile alle nuove terapie, ma solo l’industria, non l’accademia, ha le risorse finanziarie per svilupparle».

Che cosa si può fare
Quali sono allora i correttivi? «Va ridiscusso tutto il processo di sperimentazione, di approvazione e di accesso ai farmaci — continua Conte —. In primo luogo non ha senso che le autorità regolatorie, come l’Fda americana (la Food and Drug Administration) o l’Ema (l’Agenzia europea per i farmaci), che approvano l’immissione in commercio dei farmaci, non si preoccupino dei costi. Sono loro che dovrebbero fissare il valore del beneficio clinico, come l’aumento di sopravvivenza o il miglioramento della qualità della vita, e includerlo nella valutazione economica». Ma questo aspetto, da solo, non è sufficiente: «Occorre obbligare l’industria a finanziare studi post-marketing — conclude Conte —. In altre parole studi che valutino l’efficacia dei farmaci nel mondo reale e cioè su pazienti non selezionati (come, invece, sono negli studi clinici) che possono avere caratteristiche diverse: essere anziani, per esempio, o seguire altri trattamenti per patologie concomitanti che possono interferire con l’effetto dell’antitumorale. Solo così si può valutare l’effettivo beneficio di una terapia».


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