Tumori e adozioni: chi ha posto il limite dei cinque anni?
11 luglio 2016 Larepublica.it, saluteseno, Tiziana Moriconi, 01/07/2016,
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Tumori e adozioni: chi ha posto il limite dei cinque anni?
Il caso di una coppia di Torino che si è vista negare l'idoneità all'adozione accende i riflettori sulla mancanza di linee guida e indicazioni chiare, condivise tra magistratura, medici oncologi e associazioni di pazienti. Una mancanza che può dare luogo a discriminazioni
È possibile adottare se si è avuto un tumore? La questione è stata portata alla ribalta della cronaca dal caso di Bianca e Sergio, che hanno deciso di opporsi al “no” ricevuto dal Tribunale dei minori e dalla Corte d’Appello di Torino alla domanda di idoneità all’adozione internazionale. Il motivo, come hanno riportato Repubblica Torino e La Stampa (che ha pubblicato anche un'intervista alla donna) è un carcinoma mammario. Bianca si era infatti ammalata per la prima volta nel 2003. era stata dichiarata guarita, ma nel 2011 il tumore al seno è tornato. L'andamento era stato ritenuto “scarsamente aggressivo” , motivo per cui Bianca non ha avuto diritto alla 104. La coppia ha cominciato l'iter per l'adozione nel 2014. I giudici – ha spiegato La Stampa – si sono affidati a un consulente tecnico d’ufficio: il parere negativo dipenderebbe dal fatto che le metastasi possono rendere difficile occuparsi di un minore e dal fatto che non sono passati cinque anni dall'ultima manifestazione della malattia.
“Di solito i tribunali fanno valutazioni puntuali sui casi concreti basandosi sulle perizie dei consulenti medici", spiega Elisabetta Iannelli, avvocato e segretario Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia). "Il problema sorge quando, prima di iniziare l'iter per l'accertamento dell'idoneità all'adozione, viene sconsigliato agli aspiranti genitori adottivi di presentare la domanda al tribunale se non sono ancora trascorsi cinque anni. Da cosa non si capisce: dalla prima diagnosi? Dall'ultima recidiva? Non si sa, perché non c'è una linea guida che lo dica. Questo termine, in realtà, ha un valore soprattutto statistico: serve, per esempio, per valutare i progressi della medicina e a dare un'idea di quanto, in media, sia aggressiva una neoplasia. Ma l'utilizzo di questo parametro (non previsto da alcuna norma) in modo astratto e generico rischia di tramutarsi in arbitrio e discriminazione, mentre la valutazione dello stato di salute deve essere fatta sul caso concreto tenendo conto di una molteplicità di fattori che sono molto diversi da tumore e tumore, da persona a persona”.
Va detto, infatti, che di carcinomi mammari ne esistono di diversi tipi, alcuni sono poco aggressivi, altri di più; in certi casi possono dare recidive dopo venti anni. E anche quando il tumore è metastatico, la malattia può essere stabile, in remissione o cronicizzata per moltissimi anni.
“Bisogna fare chiarezza”, continua Iannelli: “Sarebbe auspicabile un confronto tra magistratura, oncologia medica e associazioni dei pazienti, in modo da poter dare delle indicazioni chiare e scientificamente validate. Fermo restando che il primo diritto da tutelare è quello del minore di avere due genitori per un tempo che sia il più lungo possibile, non possiamo calpestare la dignità delle persone. Se una donna può guarire dal cancro o convivere bene con la malattia per molti anni, non possiamo impedirle di progettare e realizzare il sogno di una famiglia. Quello che va accertato è che non ci sia un certo ed imminente pericolo di vita, e che la malattia pregressa non sia invalidante al punto di impedire a questo bambino di essere accudito e amato dai genitori adottivi in serenità. Certamente la valutazione dei singoli casi non è semplice ma è possibile ed auspicabile che la giustizia segua il passo della scienza e consenta il ritorno pieno alla vita dopo il cancro”.
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