L’ago «incandescente» per rimuovere i tumori in dieci minuti: funziona?

   Sportello Cancro, Luigi Solbiati, 21/11/2016

DERMATOLOGIA
La termoablazione non è affatto una novità e non è adatta su tutti i tumori: va bene
per quelli inferiori a 5 centimetri, serve la sedazione e la chemioterapia è comunque necessaria per ridurre la massa tumorale prima e per scongiurare recidive poi


Pochi giorni fa ho letto di un intervento per rimuovere un tumore al fegato che mi ha molto colpito. Se ho capito bene, si tratterebbe di un’operazione che si svolge senza bisturi, e quindi senza «tagli» sul paziente, grazie a una specie di ago incandescente in grado di «liquefare » il tumore. Dieci minuti di durata per l’intervento. Piccolissima la ferita, giusto lo spazio per fare entrare l’ago, qualche millimetro; nessuna giornata di degenza: subito a casa. Di anestesia non mi pare si parlasse, ne ho dedotto (ma forse mi sbaglio) che non fosse neppure necessaria. Ma questo tipo di operazione è di routine o è un’assoluta novità? Ed è tutto vero quello che ho letto? E quali tipo di tumore si potrebbero trattare così? Mia moglie, che è un tipo sospettoso, dice che interventi di questo tipo, così avanzati, semplici (una passeggiata in pratica per il malato) e risolutivi vengono tenuti «nascosti» al grande pubblico perché Big Pharma vuole continuare a vendere i suoi chemioterapici. Io, che stento a credere al grande complotto mondiale, mi domando se ugualmente anche dopo questo tipo di operazioni, i chemioterapici non servano, o possano comunque essere utili. Chi ha ragione?

Risponde Luigi Solbiati, direttore di Radiologia interventistica e Oncologica all’ospedale Busto Arsizio di Varese
Innanzitutto bisogna fare chiarezza su questo tipo di intervento: la termoablazione non è affatto una novità assoluta o una «prima» italiana e men che meno mondiale. Operazioni di questo tipo vengono fatte da quasi vent’anni e io stesso ho una casistica di circa 500 interventi e altrettanto vale per la collega Maria Franca Meloni che lavora all’ospedale Valduce di Como e per i colleghi Roberto Santambrogio dell’ospedale San Paolo di Milano e Umberto Cillo dell’ospedale di Padova. Quanto alla tecnica usata, nel resoconto che ne fa, ci sono parecchie imprecisioni e quello che definirei un «eccesso di ottimismo».

Generatore di microonde
«L’ago incandescente» è in realtà un generatore di microonde che si usa dal 2008-2009 e che è andato a sostituire i vecchi strumenti a radiofrequenza. Questo nuovo dispositivo è più potente (raggiunge, infatti, i 120-140°C contro i 90-95°C dei precedenti a radiofrequenza) e questo permette di avere una maggiore propagazione del calore e quindi di andare a colpire una superficie fino a 4 - 5 centimetri quadrati contro i 2,5 - 3 centimetri quadrati che si potevano raggiungere in precedenza. Inoltre mentre il calore generato dalla radiofrequenza viene «assorbito» dal sangue che circola nei grandi vasi - e questo la rende inutilizzabile, se sono presenti vicino alla massa tumorale - questo svantaggio scompare ricorrendo alle microonde il cui effetto non è ridotto dalla presenza di grandi flussi di sangue.

Verità e falsi miti
Ma pur essendo più potenti, anche le sonde a microonde non possono trattare tutti i tumori: non servono con quelli oltre i 5 centimetri di dimensione o in presenza di molte localizzazioni cancerogene. È vero invece che l’intervento dura una decina di minuti, ma questo significa che è più impegnativo per il chirurgo e quindi richiede training e lunga esperienza. Vero anche che la ferita è piccola, ma si tratta di qualche centimetro e non di qualche millimetro. Falso invece che l’operazione si possa fare senza sedazione: serve sempre, spesso profonda e talvolta si deve ricorrere anche all’anestesia generale. E non si va subito a casa. Il paziente resta in osservazione almeno una notte e il giorno successivo all’intervento si fanno degli esami per verificare l’efficacia dell’operazione. Che abbia avuto successo lo si può però dire solo dopo sei, dodici mesi di follow up.

La chemioterapia serve
L’ipotesi del complotto, già assurda in sé, si baserebbe poi su un presupposto sbagliato e cioè che la chemio non serva. Al contrario può servire prima della termoablazione per ridurre la massa tumorale e dopo per ridurre il rischio di recidive. Gli organi su cui questa tecnica si usa sono, oltre al fegato, il polmone e il rene e da circa una decina di anni anche le ossa. Ultima precisazione. Anche se l’idea di poter liquefare un tumore è senz’altro suggestiva, quello che in realtà accade è proprio il contrario: la massa va incontro a necrosi coagulativa e perciò ad un aumento della sua densità. In pratica si trasforma in un piccolo sasso, che se è stato ben trattato non farà più danni. Il che, purtroppo, non elimina il rischio di successive metastasi o di una ripresa del tumore, in un’ altra localizzazione nello stesso organo come d’altronde può accadere anche con intervento chirurgico tradizionale.



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