Tumori, ogni anno 800mila italiani cambiano regione per curarsi

   Sportello Cancro, Vera Martinella, 22/11/2016

SANITA’
Le partenze avvengono soprattutto dal Sud verso il Nord, in particolare Milano. Situazione grave in Calabria, dalla quale emigra per operarsi il 37 per cento dei malati


Che nel nostro Paese le cure non siano uguali in tutte le regioni non è purtroppo una novità. Per quanto riguarda il trattamento dei tumori da anni, ormai, associazioni di pazienti e oncologi denunciano i ritardi nell’arrivo dei nuovi farmaci anticancro, che possono richiedere fino a tre anni di passaggi burocratici con discriminazioni che colpiscono i pazienti semplicemente in base alla loro regione di residenza. In un incontro tenutosi a Milano, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) denuncia ora la pesante entità delle migrazioni sanitarie interne alla penisola, con una situazione particolarmente grave in Calabria dove quasi 4 pazienti su 10 decidono di andare a farsi operare in un’altra regione.

La migrazione sanitaria in Calabria
A conti fatti, secondo le stime presentate da Aiom, ogni anno quasi 800mila italiani colpiti dal cancro sono costretti a cambiare regione per curarsi. Le partenze avvengono soprattutto dal Sud verso il Nord (in particolare Milano): dalla Campania partono 55mila persone, dalla Calabria 52mila, dalla Sicilia 33mila, dall’Abruzzo 12mila e dalla Sardegna 10mila. Oltre ai grandi disagi per malati e familiari, il problema è di non poco conto anche per il bilancio del Servizio sanitario nazionale, visto che il valore economico annuo di queste migrazioni sanitarie è pari a 2 miliardi di euro. A preoccupare gli esperti è soprattutto la situazione in Calabria, dove il 62 per cento dei cittadini con tumore del polmone e il 42 per cento di quelli con cancro del seno si recano fuori regione per eseguire l’intervento chirurgico d’asportazione della malattia. Complessivamente, considerando la chirurgia per le neoplasie più importanti (polmone, seno, colon retto, prostata, vescica e tumori ginecologici), la migrazione sanitaria in Calabria raggiunge il 37 per cento dei malati, con 1.999 ospedalizzazioni nel 2012 fuori dai confini locali. A queste si aggiungono 1.941 ricoveri per chemioterapia extra regione, che rappresenta il 10 per cento circa del totale dei trattamenti medici.

A cosa serve la Rete oncologica regionale
«Vogliamo collaborare con le istituzioni per risolvere quanto prima questa situazione, che ha un impatto negativo sulla qualità delle cure - spiega Carmine Pinto, presidente nazionale Aiom -. Questi dati sono allarmanti e richiedono interventi urgenti, a partire dalla realizzazione della Rete oncologica della Calabria e dei Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA). La riorganizzazione dell’offerta attraverso la Rete porterà anche risparmi per il sistema e una razionalizzazione sostanziale delle risorse. Il divario nella qualità dell’assistenza rispetto alle altre regioni riflette la scarsa fiducia dei cittadini calabresi nei servizi locali. Servono rafforzamento degli organici, implementazione dei programmi di screening, investimenti strutturali e tecnologici e facilità di accesso alle prestazioni con abbattimento delle liste di attesa. La Rete dovrà prevedere anche una suddivisione dei ricoveri per intensità di cura, oggi infatti gran parte della mobilità riguarda casi di bassa e media complessità». In Calabria nel 2016 sono stimati 10.400 nuovi casi di tumore. Le migrazioni conducono i pazienti verso le strutture della Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna ma anche verso territori vicini, come Basilicata, Sicilia e Puglia. Un decreto del commissario ad acta alla sanità della Calabria (DCA n.10 del 2 aprile 2015) ha previsto l’istituzione della Rete oncologica regionale, evidenziando alcune misure urgenti.

Aumentare gli interventi di chirurgia
«Innanzitutto - sottolinea Vito Barbieri, coordinatore Aiom Calabria e dirigente medico presso l’Oncologia dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria Mater Domini di Catanzaro - l’attuale dotazione di strutture risulta non adeguata rispetto alle esigenze assistenziali della regione. Il provvedimento del commissario stabilisce di privilegiare day hospital e soprattutto prestazioni terapeutiche ambulatoriali con riduzione dell’uso del ricovero ordinario. La rimodulazione della quantità e qualità dell’offerta implica soprattutto, come indicato nel provvedimento del commissario, l’incremento del numero di interventi di chirurgia oncologica». È previsto infatti un aumento del 15 per cento dei volumi attuali per i tumori più importanti: seno (oggi nelle strutture della regione viene eseguito il 58 per cento degli interventi chirurgici), colon retto (69 per cento), polmone (38), neoplasie ginecologiche (63) e prostata (66). Un passo fondamentale, perché come hanno dimostrato diversi studi scientifici, l’80 per cento degli ospedali italiani ha volumi di attività chirurgica oncologica troppo bassi, mentre dove si fa un numero maggiore di interventi (e c’è quindi più esperienza) si hanno esiti migliori e la mortalità è minore. «Finora - conclude Barbieri - ha dominato la sfiducia nei servizi regionali a causa di un’offerta mal proporzionata alle esigenze della popolazione, con organici totalmente inadeguati in alcune realtà. Non va sottovalutata anche la complessità del territorio che obbliga a portare i servizi oncologici in zone spesso disperse e poco popolate. È urgente intervenire quanto prima, e chiediamo la costituzione di un’autorità centrale regionale con funzioni di coordinamento della Rete già deliberata, in grado di governare i collegamenti tra le diverse strutture e di pianificare l’uso delle risorse, realizzando, con tempistiche serrate, tutti gli step che portino alla disponibilità e massima fruizione, da parte della popolazione, della rete oncologica».


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