Radio e chemioterapia più efficaci se si «sabotano» le cellule del tumore
14 luglio 2017 Sportello cancro, Luigi Ripamonti, 12/07/2017
RICERCA
Una nuova strategia nella cura del cancro punta a inibire i meccanismi di riparazione delle cellule tumorali in modo che siano più vulnerabili ai raggi
Inibire i meccanismo di riparazione del Dna cellulare danneggiato per far funzionare meglio la chemioterapia e la radioterapia. È una delle nuove strategie in sperimentazione per rendere più efficaci questo trattamento contro i tumori. Chemioterapie e radioterapia servono a distruggere le cellule tumorali, le quali però possiedono meccanismi di riparazione del Dna che permettono loro di rimediare ai danni loro inferti: bloccare questi meccanismi può quindi aumentare la probabilità che i tumori resistano meno al “bombardamento” cui vengono sottoposti. «Quando trattiamo tumori con radioterapia, e alcuni tipi di chemioterapia, “rompiamo” la doppia elica del loro Dna, ma stimoliamo contestualmente l’attivazione di enzimi, come per esempio il Dna- Pk, la cui funzione è proprio quella di mettere in atto reazioni chimiche capaci di rimediare al danno» spiega il professor Armando Santoro, direttore dell’Humanitas Cancer Center di Milano. «Poiché l’attivazione di questo enzima da parte della radioterapia e chemioterapia è molto rapido e marcato, ne risulta una parziale riduzione dell’efficacia dei trattamenti. Per questo motivo una delle strade che si stanno percorrendo nella lotta contro il cancro è anche quella di associare alle terapie convenzionali farmaci in grado di inibire questo e altri enzimi che assolvono a tale funzione riparatrice. In sperimentazioni su animali con tumori umani abbiamo visto che questo tipo di associazione rende effettivamente più efficace le cure, producendo remissione completa , senza alcuna recidiva».
Ma in questo modo non si danneggiano le cellule sane dei tessuti vicini rendendo più “tossica” la terapia?
«No perché questo enzima è molto selettivo» chiarisce Santoro. «In una cellula sana ci sono diversi meccanismi di riparazione del Dna che si attivano, e questo in particolare è poco utilizzato dalle cellule sane, mentre è molto utilizzato da quelle tumorali. Fra l’altro le cellule tumorali sono di solito portatrici di diverse mutazioni che le rendono nel complesso meno efficienti in generale nel mettere in atto forme di compensazione rispetto a quelle sane».
Le sperimentazioni sull’uomo sono già iniziate?
«Sono in corso da circa un anno e mezzo fasi sperimentali che testano tollerabilità e dosaggio, con dati molto incoraggianti»
Quindi è questa la futura evoluzione dell’immunoterapia?
«Non solo questa: per l’immunoterapia, in generale, il futuro è nelle combinazioni» precisa Santoro. «Finora si è cercato di bloccare dei cosiddetti check-point come per esempio PD-1 e PDL-1. In condizioni normali, le cellule tumorali sono attaccate dal sistema immunitario, che le riconosce come estranee all’organismo e le elimina. Però una cellula tumorale può “esprimere” , cioè presentare sulla sua superficie proteine, come per esempio la PD-L1, che consentono alle cellule del tumore di eludere il riconoscimento da parte del sistema immunitario e quindi di continuare a riprodursi. Per la precisione PD-L1 si lega ad altre proteine, che fungono da recettore (PD-1 e PD-2) sulla superficie delle cellule immunitarie, inibendone l’azione. L’immunoterapia contro i tumori agisce a questo livello, contrastando questo sistema chiave-serratura e impedendo così alle cellule tumorali di sfuggire alla “cattura” da parte di quelle del sistema immunitario. Questo però è solo uno dei cosiddetti check-point che sono convolti nella relazione fra tumori e sistema immunitario, quindi ora si stanno sperimentando farmaci che agiscono anche su altri bersagli. Il futuro quindi sarà nella somministrazione di farmaci che agiscono su proteine diverse in modo da rendere i tumori sempre più aggredibili dal sistema immunitario. E una novità interessante sono i farmaci con doppio meccanismo d’azione, come per esempio PD-L1/TGF-ß TRAP, che mette insieme un inibitore del PDL-1 con un potenziatore dell’immunoterapia».
Leggi articolo originale