Dove operarsi per un tumore? Online la mappa dei luoghi di cura

   www.healthdesk.it, 18/05/2021

Scelte consapevoli
Scegliere il luogo gusto dove curarsi può fare sempre la differenza. Ma lo fa ancora di più quando la malattia da combattere è il cancro. La letteratura scientifica ha confermato da anni per esempio una forte associazione tra volumi di attività chirurgica più alti e i migliori esiti delle cure oncologiche. Ma il più delle volte il paziente ignora le informazioni che gli permetterebbero di scegliere con maggiore consapevolezza il luogo in cui essere assistito.


È nato da questa esigenza “Dove mi curo?”, un portale/mappa realizzato dalla Rete Oncologica Pazienti Italia che, sulla base dei dati del Programma Nazionale Esiti 2020 di Agenas, vuole offrire a cittadini e pazienti una modalità semplificata per conoscere i centri a più alto volume di attività chirurgica oncologica nelle regioni italiane.

Negli anni sono aumentate le strutture con oltre 50 interventi al polmone (43% nel 2019 rispetto al 35% nel 2017), con oltre 20 interventi allo stomaco (27% nel 2019 rispetto al 23% nel 2017) e con oltre 150 interventi alla mammella (13,3% nel 2019 rispetto al 12,5% del 2017).

Questi risultati testimoniano il miglioramento organizzativo guidato dalle Reti Oncologiche Regionali.
Tuttavia non va dimenticato che ancora molti pazienti vengono operati in strutture con volumi di attività inferiori alla soglia raccomandata: per esempio il 30% delle pazienti con carcinoma della mammella ha ricevuto nel 2019 un trattamento chirurgico in strutture con meno di 150 interventi annui.

«Nel 2019 sono stati stimati 371.000 nuovi casi di tumore maligno», spiega Stefania Gori, presidente ROPI. «Sempre più spesso cittadini e pazienti chiedono informazioni sui luoghi di assistenza adeguati. I dati della letteratura scientifica confermano una forte associazione tra volumi di attività chirurgica più alti e i migliori esiti delle cure oncologiche. Vogliamo offrire ai cittadini e ai pazienti una fotografia delle strutture sanitarie ad alto volume di chirurgia oncologica. Devono aumentare i centri che rispondono alla soglia minima richiesta per le procedure chirurgiche e questo obiettivo viene costantemente ribadito all’interno delle Reti Oncologiche Regionali. Tuttavia la scelta del luogo di cura deve tenere conto non solo dei volumi chirurgici, cioè della quantità, ma anche delle buone pratiche assistenziali prima, durante e dopo la chirurgia. Questo può essere realizzato grazie a gruppi multidisciplinari oggi sempre più diffusi nelle regioni italiane».

Nonostante siano molte le patologie oncologiche per le quali i dati della letteratura hanno confermato l’associazione tra volumi di attività più alti e migliori esiti delle cure, sono soprattutto le procedure chirurgiche oncologiche più complesse e ad alto rischio a evidenziare questa correlazione.

«L’equilibrio tra volumi di intervento ed esiti in chirurgia oncologica è un tema studiato da oltre quarant’anni. Ma è davvero corretto affermare che il principio del ‘più lo faccio, meglio lo faccio’ valga per qualunque paziente che abbia avuto una diagnosi di cancro?», si chiede Massimo Carlini, presidente eletto della Società Italiana di Chirurgia. «La risposta a questa domanda è che, sulla base di milioni di interventi chirurgici oncologici, la correlazione inversa tra la mortalità a 30 giorni e il numero di operazioni è stata confermata principalmente per le procedure più complesse e ad alto rischio, come le resezioni del pancreas e dell’esofago. Sulla base di questo, in Gran Bretagna, Danimarca e Olanda sono state adottate specifiche politiche nazionali dirette a centralizzare procedure ad alta complessità con l’obiettivo di migliorare la qualità complessiva delle cure. In ogni caso, è certo che standard elevati e risultati eccellenti si ottengono solo creando reti e investendo in una forza lavoro adeguatamente formata e qualificata. In questo senso nel nostro Paese sono fondamentali il ruolo delle Società Scientifiche, come appunto la Società Italiana di Chirurgia, di Agenas, del Ministero della Salute, degli Assessorati regionali alla Salute, con l’importante collaborazione della Rete Oncologica Pazienti Italia (ROPI)».

«Questa pandemia ci ha fatto toccare con mano la situazione difficilissima vissuta dal paziente oncologico: l’allungamento delle liste d’attesa, la sospensione degli screening, l’impossibilità di avere un riferimento presso cui farsi ascoltare», riflette l’onorevole Nicola Provenza, membro della XII Commissione Affari Sociali della Camera. «La realtà è che i cittadini e i pazienti attendono dalla politica azioni concrete. Ma per far questo, noi politici dobbiamo soltanto pensare a un’azione sistemica, concreta, basata su piani e progetti precisi. La parola chiave deve essere dunque appropriatezza, non soltanto diagnostica e terapeutica, ma soprattutto degli ambiti di cura. L’obiettivo è il riequilibrio tra ospedale e territorio e tra pubblico e privato, grazie a strumenti fondamentali come l’assistenza domiciliare integrata, l’implementazione tecnologica attraverso la telemedicina, i percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali e le strutture intermedie. La politica deve realizzare quella messa a sistema che potrà rendere concreto tutto questo. Serve un passo avanti verso una reale presa in carico del paziente, che va messo al centro di tutto il sistema».

«Il Programma Nazionale Esiti, su cui si basa l’iniziativa “Dove mi curo?”, è lo strumento ufficiale per misurare volumi ed esiti delle prestazioni sanitarie a livello nazionale. Questa edizione in particolare è la fotografia delle performance delle strutture ospedaliere nell’anno 2019, quando cioè la pandemia non si era ancora manifestata. Ci aspettiamo di tornare presto a questi livelli, quando l’emergenza COVID sarà conclusa, per poi migliorarli ulteriormente in modo da recuperare il divario causato proprio dalla pandemia», auspica Francesco Bortolan di Agenas. «Il PNE, che raccoglie 1385 ospedali pubblici e privati accreditati, non vuol essere un insieme di classifiche né dare giudizi di valore, ma solo fornire uno standard di riferimento che evidenzi le buone pratiche sul territorio, per capire perché si verificano proprio in quella regione e come fare per estenderle anche altrove. Si tratta di uno strumento dai contenuti essenzialmente clinici, dunque destinato soprattutto ai tecnici. Ma Agenas ha predisposto e sta sviluppando un Portale della Trasparenza in cui alcuni contenuti vengono tradotti in linguaggio più facilmente fruibile anche per i cittadini e i pazienti. Uno dei vantaggi fondamentali del PNE è sicuramente quello di consentire la valutazione delle performance dal livello nazionale fino a quello della singola struttura».

«Il Programma Nazionale Esiti nasce come strumento di valutazione per migliorare la qualità delle cure ad uso dei professionisti e degli attori della salute, ma deve anche renderle disponibili agli utenti. Per questo ritengo l’iniziativa di ROPI “Dove mi curo?” molto utile», osserva Marina Davoli, di Agenas. «Nella valutazione delle strutture sono importanti i volumi, ma non vanno trascurati anche i volumi del singolo chirurgo».


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