Prevenire il cancro con un vaccino. Il traguardo non è così lontano

   www.healthdesk.it, 14/04/2022

L’analisi
Sono in corso i primi studi sui vaccini contro alcuni tipi di tumori. La categoria che più si presta alla sperimentazione è quella dei tumori ereditari. Persone sane con una forte predisposizione a tumori del colon o del seno sono i partecipanti ideali. La tecnologia a mRna può accelerare i tempi


AliveAndKickn è un’associazione no profit fondata da Dave Dubin, un uomo di 55 anni con una predisposizione genetica al cancro del colon e al gioco del calcio (come lui stesso afferma ironicamente). Lo scopo dell’associazione è promuovere la ricerca sulla sindrome di Lynch che circola nella famiglia Dubin e colpisce 1,1 milioni di americani. Una mutazione genetica che impedisce la riparazione del Dna comporta una probabilità del 70 per cento di sviluppare un tumore una volta nella vita.

Dave Dubin ne ha avuti tre, due al colon e uno al rene ed è perennemente sotto monitoraggio. Questo è il destino di chi ha un tumore ereditario. La vera svolta sarebbe un vaccino. Ci stanno lavorando al MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas dove a breve partirà un trial clinico per testare un vaccino contro i tumori associati alla sindrome di Lynch (carcinoma colorettale, tumore dell'endometrio (utero) ed altri tipi di cancro). Sarà uno dei primi studi sui vaccini per tumori non causati da virus. Prevenire il cancro con un vaccino finora è possibile solo per alcuni tumori di origine virale, quello al fegato scatenato dal virus dell’epatite B e quello al collo dell’utero causato dal papillomavirus umano.

Ma la maggior parte dei tumori non è causata da virus e le strategie necessarie per impedire a un tumore ereditario di formarsi sono diverse da quelle usate contro un oncovirus.

Il vaccino per la sindrome di Lynch prende di mira i "neoantigeni", un potente tipo di antigene che si trova quasi solo sulle cellule tumorali. L'approccio sembrerebbe promettente ma una delle sfide principali consiste nel trovare il modo di valutare l’efficacia del vaccino senza dover aspettare decenni per scoprire se il cancro si è sviluppato o no. Su Science viene proposta una sintesi delle ricerche in corso.

Alla ricerca dell’antigene giusto
Un filone della ricerca dei vaccini contro il cancro punta agli antigeni, i marcatori molecolari presenti in grande quantità nelle cellule cancerose e in piccole quantità su quelle sane. Gli sforzi in questa direzione sono iniziati negli anni Novanta quando i ricercatori hanno individuato dozzine di antigeni tumorali che potevano risvegliare le difese immunitarie di un paziente. Il primo antigene associato al cancro è stato scoperto nel 1989 dal team dell'Università di Pittsburgh guidato dall’immunologa Olivera Finn. Si tratta di una versione modificata di MUC1, una proteina della superficie cellulare carica di zucchero, che si trova su molti tipi di cellule tumorali. Il vaccino che induceva una risposta immunitaria contro lo specifico antigene è stato testato su 39 persone che avevano avuto polipi precancerosi del colon e che quindi erano a rischio di sviluppare un tumore. Tra queste però solo 17 avevano sviluppato anticorpi contro la versione tumorale di MUC1. In un più ampio studio controllato con placebo, ideato per valutare se il vaccino impedisse nuovi polipi nelle persone a cui erano stati rimossi, ha dato risultati in parte più incoraggianti. Tra gli 11 dei 53 partecipanti che avevano prodotto anticorpi in abbondanza, solo tre avevano avuto polipi recidivanti entro 1 anno dalla vaccinazione, rispetto a 31 dei 47 partecipanti in un gruppo placebo.

«È stato molto incoraggiante. Quando non si verificano recidive nei pazienti, sai che il vaccino sta funzionando», ha dichiarato Finn. Gli scienziati stanno ora progettando nuovi studi sul vaccino MUC1 per diverse condizioni precancerose.

Come coinvolgere i linfociti T
Un punto debole della strategia vaccinale di Finn è che i peptidi contenuti nel vaccino attivano principalmente una parte del sistema immunitario: i linfociti B che producono gli anticorpi. Mentre per bloccare il cancro sul nascere bisognerebbe mobilitare i linfociti T. Come riuscirci? Si è capito che invece di introdurre l’antigene con il vaccino, è meglio fornire all’organismo le istruzioni genetiche per produrre l’antigene. In questo modo le cellule immunitarie raccolgono il DNA o l’RNA necessario per produrre l’antigene, lo producono, lo sminuzzano e ne mostrano i frammenti sulle superfici cellulari mettendoli in bella vista e facili da riconoscere per il sistema immunitario. Le cellule presentanti l'antigene insegnano quindi ai linfociti T a riconoscere e uccidere le cellule tumorali.

I trial clinici in corso
All’Abramson Cancer Center della Penn Medicine si sta testando un vaccino a base di DNA mirato a un antigene che contrassegna molti tumori: hTERT, un piccolo pezzetto di telomerasi, un enzima che protegge i cromosomi mentre le cellule tumorali proliferano. I risultati di uno studio di fase I su 93 pazienti in remissione dopo il trattamento per vari tipi di cancro sono stati incoraggianti. Tutte le persone tranne quattro hanno prodotto cellule T posizionate sull’antigene hTERT. Tra le 34 persone che avevano avuto un cancro al pancreas, il 41 per cento era ancora libero dal cancro dopo 18 mesi, mentre solitamente il tumore riappare entro una media di 12 mesi. Il team della Penn University sta ora studiando la sicurezza e le risposte immunitarie al vaccino in 16 persone in remissione da precedenti tumori che hanno ereditato mutazioni in BRCA1 o BRCA2, che predispongono al cancro al seno, alle ovaie e ad altri tumori. Il prossimo anno, i ricercatori prevedono di somministrare il vaccino a 28 persone con mutazioni BRCA che non hanno mai avuto il cancro.

Alla Cleveland Clinic stanno lavorando a un vaccino per la prevenzione del cancro al seno che contiene una proteina delle cellule mammarie chiamata alfa-lattoalbumina, prodotta solo durante la gravidanza e l'allattamento al seno. La proteina viene prodotta anche nel carcinoma mammario triplo negativo, una forma aggressiva della malattia. In questa prima fase della sperimentazione, i ricercatori stanno valutando se il vaccino induce una risposta immunitaria in 24 donne che sono state trattate per un cancro al seno triplo negativo e non hanno intenzione di rimanere incinta. Il prossimo passo consisterà in una sperimentazione su donne sane con mutazioni BRCA1 predisposte a questo tipo di cancro.

Gli scienziati della National Breast Cancer Coalition (NBCC) stanno per avviare la sperimentazione di un vaccino contro il cancro al seno che combina sei antigeni tumorali, inclusi hTERT e MUC1.

Altri centri stanno, al contrario, mettendo a punto strategie più mirate prendendo di mira i neoantigeni che si trovano solo sulle cellule tumorali. Ad esempio, il cancro del pancreas è quasi sempre innescato da mutazioni in una proteina della crescita chiamata KRAS, che dà origine a un insieme prevedibile di neoantigeni. I ricercatori della Johns Hopkins University inizieranno proprio nei giorni a testare la sicurezza di vaccino contenente peptidi KRAS mutati in 25 uomini e donne che non hanno avuto il cancro ma sono ad alto rischio a causa di una mutazione ereditaria o di una storia familiare. Il KRAS è come il tallone d'Achille del cancro al pancreas, perché è il primo di diversi geni a subire una mutazione. Gli scienziati sperano che le prime cellule tumorali non saranno in grado di eludere il vaccino rinunciando al KRAS e trovando un altro modo per crescere.

Anche i tumori della sindrome di Lynch mostrano una serie prevedibile di neoantigeni. Il vaccino allo studio al Anderson Cancer Center dell’Università del Texas sviluppato dall’azienda italiana consiste in virus modificati per trasportare il DNA di ben 209 neoantigeni trovati nei tumori di Lynch. Tra pochi mesi partirà una sperimentazione su 45 volontari con la sindrome di Lynch, alcuni dei quali in remissione dopo il trattamento del cancro e altri senza tumori pregressi. Lo scopo è valutare se il vaccino stimola una risposta immunitaria e ha un effetto sui polipi o sulla formazione del tumore. Se i risultati saranno positivi, si passerà a uno studio randomizzato su centinaia di pazienti della durata di 5-10 anni.

Una delle sfide sarà individuare parametri alternativi credibili (endpoint surrogati) che possano dimostrare l’efficacia del vaccino senza dover aspettare decenni per assicurarsi che il tumore non si sviluppi.

Sfruttare la tecnologia a mRna per vaccini multicancro
Qualunque siano gli antigeni prescelti, molti scienziati stanno pensando di prendere come modello i vaccini anti Covi-19, che utilizzano una particella lipidica per trasportare l'mRNA per gli antigeni nelle cellule. I vaccini mRNA sono più facili da produrre rispetto ai vaccini a DNA o virali e la loro sicurezza è stata testata su miliardi di persone. La nuova tecnologia si presta anche ai vaccini multicancro, mirati su una vasta gamma di antigeni.

Al Johnston del Biodesign Institute dell'Arizona State University di Tempe si sta testando un vaccino multicancro per la prevenzione di diversi tipi di tumori nei cani. In uno studio di 5 anni, 400 cani di mezza età hanno ricevuto un vaccino che contiene 31 antigeni associati a otto comuni tumori canini e altri 400 cani stanno ricevendo un vaccino placebo.

«Un numero relativamente piccolo di geni è coinvolto nella maggior parte dei tumori, il che suggerisce che un numero limitato di antigeni potrebbe portare a un'ampia protezione. Un tale vaccino sembra fantascienza, ma uno sforzo concertato da parte di molti laboratori potrebbe avere successo. Non è da pazzi. È possibile», ha commentato Bert Vogelstein, genetista della Johns Hopkins Bert Vogelstein.

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