Cancro al seno: anticorpo farmaco-coniugato raddoppia sopravvivenza libera da progressione in tumori HER2-low

   www.healthdesk.it, 06/06/2022

ASCO 2022

«I risultati di questo studio mostrano che trastuzumab deruxtecan raddoppia la sopravvivenza libera da progressione rispetto alla sola chemioterapia nelle pazienti con carcinoma mammario HR+, HER2-low. Creando efficacemente una nuova categoria di cancro al seno, HER2-low, questo studio ridefinirà il modo in cui classifichiamo il cancro al seno e amplierà significativamente la popolazione di pazienti che possono trarre beneficio dalla terapia mirata a HER2».

A dirlo è Jane Lowe Meisel, esperta dell'American Society of Clinical Oncology nei tumori al seno, che sottolinea così l'importanza dei risultati dello studio DESTINY-Breast04, presentato nella sessione plenaria dell'ASCO a Chicago e pubblicati sul New England Journal of Medicine.

Trastuzumab deruxtecan è un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato anti-HER2 specificamente progettato, sviluppato e commercializzato congiuntamente da Daiichi Sankyo e AstraZeneca. Ed è, appunto, la prima terapia anti-HER2 a dimostrare in uno studio registrativo un beneficio di sopravvivenza per le pazienti adulte con carcinoma mammario HER2-low non resecabile o metastatico con malattia positiva o negativa al recettore ormonale (HR) precedentemente trattate.

Nell’analisi dell’obiettivo primario dello studio, trastuzumab deruxtecan ha dimostrato una riduzione del 49% del rischio di progressione della malattia o di morte rispetto alla chemioterapia. Nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico a bassa espressione di HER2 con malattia HR positiva è stata osservata una sopravvivaneza senza progressione di malattia media di 10,1 mesi per quelle trattate con trastuzumab deruxtecan rispetto ai 5,4 mesi di quelle trattate con chemioterapia.

I risultati dello studio hanno anche mostrato una riduzione del 36% del rischio di morte rispetto alla chemioterapia nelle pazienti con malattia HR positiva con una sopravvivenza globale mediana di 23,9 mesi con trastuzumab deruxtecan rispetto a 17,5 mesi con la chemioterapia.

«Trastuzumab nel passato ha dimostrato di essere efficace in tumori al seno con alta espressione di HER2, chiamati HER2 positivi – ricorda Giuseppe Curigliano, professore di Oncologia medica all’Università di Milano e direttore della Divisione Sviluppo di nuovi farmaci per terapie innovative allo Ieo di Milano - ma non in quelli con bassi livelli di espressione di HER2, cosiddetti HER2-low. Questo studio mostra che trastuzumab deruxtecan può essere un nuova terapia a bersaglio molecolare altamente efficace e un’opzione terapeutica disponibile per la popolazione di pazienti HER2-low. È importante che i pazienti sappiano quale livello di HER2 esprime il loro cancro, non solo se è positivo o negativo – precisa - soprattutto perché lo stato HER2-low può essere determinato utilizzando test comunemente disponibili».

I dati, inoltre, hanno dimostrato efficacia di trastuzumab deruxtecan anche nella popolazione complessiva dello studio, composta da pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-low con malattia HR positiva o HR negativa e tra pazienti con diversi livelli di espressione di HER2. In tutte le pazienti è stata osservata un’analoga riduzione del 50% del rischio di progressione della malattia o di morte con trastuzumab deruxtecan rispetto a chemioterapia, con una sopravvivenza media libera da progressione di malattia di 9,9 mesi per trastuzumab deruxtecan rispetto a 5,1 mesi nelle pazienti trattate con chemioterapia.

«I risultati della sperimentazione cambiano l’algoritmo di cura in questa patologia e la pratica clinica – commenta Saverio Cinieri, presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) - perché abbiamo la possibilità di trattare i pazienti con un anticorpo coniugato riducendo gli effetti collaterali della chemioterapia e migliorando il tempo di controllo della malattia e la sopravvivenza globale. Si delinea quindi un nuovo sottotipo di tumore mammario, quello HER2-low, con importanti implicazioni terapeutiche – conclude Cinieri - perché potranno essere utilizzate terapie mirate in una vasta popolazione di pazienti, precedentemente considerata HER2-negativa».


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