La biopsia liquida inaugura una nuova era nello screening per il cancro. Ma deve essere ancora perfezionata

   www.healthdesk.it, 12/09/2022

ESMO 2022
Funziona bene nel ridurre il numero di falsi positivi e potrebbe quindi evitare esami invasivi inutili. Ma il rischio di falsi negativi è ancora troppo alto. La biopsia liquida potrebbe entrare nella pratica clinica per la diagnosi precoce di diversi tipi di tumore, ma va perfezionata



Nella pratica clinica la biopsia liquida non è ancora una realtà. Ma potrebbe diventarlo. Uno studio presentato al Congresso ESMO (Parigi, 9-13 settembre) suggerisce la possibilità di diagnosticare precocemente il cancro con una semplice analisi del sangue, ma allo stesso tempo indica gli ostacoli da superare per rendere la procedura realmente utilizzabile ed efficace. Lo studio prospettico PATHFINDER ha testato l’efficacia diagnostica della biopsia liquida su un campione di 6.621 persone di 50 anni e oltre che non avevano una diagnosi di cancro. L’esame, che ambisce a riconoscere diversi tipi di tumore (multi-cancer early detection), ha dato esito positivo, indicando un sospetto di cancro, nell’1,4 per cento dei partecipanti. Il risultato è stato poi confermato nel 38 per cento dei partecipanti con test positivo. In questo gruppo la diagnosi definitiva (con la conferma o la smentita del risultato) è arrivata in media entro 79 giorni e nel 73 per cento dei casi entro tre mesi. Nel complesso l’esame del sangue ha riconosciuto il tumore nel 29 per cento delle persone che avrebbero ricevuto la diagnosi ufficiale un anno dopo. Una percentuale ancora bassa per poter pensare di affidarsi esclusivamente al test del sangue.

Al contrario, tra le oltre 6.200 persone che non avevano una diagnosi di tumore, la biopsia liquida ha dato risultato negativo nel 99,1 per cento dei casi. Significa che la capacità del test di individuare precocemente i casi di cancro è ancora bassa, mentre è alta quella di riconoscere i casi negativi. Per essere più precisi: il rischio di falsi negativi è alto (bassa sensibilità), mentre è basso il rischio di falsi positivi (elevata specificità).

«I risultati sono un primo passo importante per i test di rilevamento precoce del cancro perché hanno mostrato un buon tasso di rilevamento delle persone che avevano il cancro e un eccellente tasso di specificità per coloro che non avevano il cancro. La cosa positiva è stata che un numero basso di partecipanti con un test di screening falso positivo è stato sottoposto a ulteriori procedure più invasive come endoscopie e biopsie», ha commentato Deb Schrag, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, autore senior dello studio.

In gergo tecnico le incertezze del test vengono definite “limit of detection” (LOD). Si tratta di quelle barriere, presumibilmente superabili, che rendono l’esame diagnostico necessariamente imperfetto. Tra questi limiti c’è un’oggettiva carenza di biomarcatori nel sangue capaci di indicare la presenza di un tumore, per cui si pensa ad esami aggiuntivi per rafforzare il potere diagnostico della biopsia liquida. I test del sangue per la diagnosi multi-tumore si basano sulla possibilità di individuare segnali comuni a 50 differenti tipi di cancro. Questi segnali provengono da piccole sequenze del cosiddetto “Dna tumorale circolante”, ossia il Dna rilasciato nel sangue dalle cellule tumorali che possiede caratteristiche diverse da quelle del Dna non tumorale, che però è piuttosto difficile da individuare.

«Uno dei problemi, dal punto di vista biologico, è la bassa quantità di bioanaliti, quindi i test non sono ancora pronti per l'uso nella pratica clinica. In una fase iniziale, infatti, la quantità di DNA tumorale circolante (ctDNA) non è elevata e potrebbe essere necessaria una valutazione combinata di diversi aspetti biologici per migliorare la sensibilità, ad esempio l'inserimento e la selezione di mutazioni puntiformi o la metilazione del DNA. Alcuni test che combinano il rilevamento della metilazione e la mutazione del DNA hanno migliorato il LOD», spiega Umberto Malapelle del Dipartimento di Salute Pubblica dell’Università di Napoli Federico II.


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