Da solide diventano liquide: il punto di forza delle cellule tumorali può renderle sensibili all'imunoterapia

   https://www.healthdesk.it/ricerca/solide-diventano-liquide-punto-forza-cellule-tumorali-pu-renderle-sensibili-allimunoterapia, 15.01.2023

Lo studio

I ricercatori dell’Ifom (l'Istituto di oncologia molecolare dell'Airc) e dell’Università di Milano hanno scoperto che alla base dell’invasività del carcinoma intraduttale mammario c’è il trasformismo materico delle cellule tumorali, che sono in grado di passare dallo stato solido a quello liquido, faciltando così la possibilità di muoversi nell’organismo. Ma la stessa trasformazione, hanno scoperto i ricercatori, può rendere queste cellule più sensibili all'immunoterapia: da strategia di invasione potrebbe pertanto essere convertito in chiave terapeutica.
 

I risultati dello studio, condotto grazie al sostegno di Fondazione Airc, sono stati pubblicati su Nature Materials.

Il carcinoma intraduttale mammario è diagnosticato in circa il 20% dei casi di canco al seno. Le sue cellule si sviluppano e proliferano all’interno dei confini del dotto della ghiandola mammaria. I tessuti sani circostanti comprimono la massa tumorale e ne alterano le proprietà fisiche, favorendone l’irrigidimento e prevenendone l’espansione. «Grazie a questo meccanismo di difesa – spiega Giorgio Scita, a capo del laboratorio Meccanismi di ricerca delle cellule tumorali dell’Ifom e professore di Patologia generale all'Università di Milano – per circa il 70% di questi tumori non sarebbe necessario alcun tipo di intervento né chirurgico né farmacologico, in quanto spesso regredirebbero spontaneamente. Solo il 30% circa progredisce, dando luogo a metastasi a distanza». Oggi, però, non ci sono strumenti per prevedere se una paziente rientrerà nel 30% o nel 70% dei casi. Di conseguenza tutte le pazienti sono sottoposte indistintamente alla stessa terapia, subendo effetti collaterali che per la maggior parte di loro sarebbe evitabile. «La sfida che ci siamo posti come gruppo di ricerca è stata di indagare le caratteristiche fisiche alla base delle due categorie di tumore – racconta Scita - per cercare di indentificare criteri con cui differenziare i trattamenti e ridurre al minimo indispensabile le terapie applicate».

In un precedente studio il gruppo di ricerca aveva individuato una proprietà meccanica e materiale specifica nelle cellule tumorali di quel 30% votato alla disseminazione metastatica, cioè la capacità del tessuto tumorale solido di diventare fluido. È un po’ come se il tumore fosse in grado di trasformarsi da una massa rigida ma inerte in un flusso liquido e mobile, riuscendo così a superare gli argini meccanici che ostacolano la sua progressione e invasività.

«L’esposizione del tumore a sollecitazione meccaniche ripetute – spiega il ricercatore - comporta una vera e propria trasformazione del suo comportamento all’interno dell’organismo, che porta quest'ultimo ad attivare meccanismi di reazione analoghi a quelli adottati dai tessuti del sistema immunitario esposti ad infezioni virali. Dunque, questa trasformazione, se da un lato un lato conferisce al tumore resistenza a farmaci chemioterapici, potrebbe essere altresì sfruttata come un’arma a doppio taglio per combattere il tumore stesso. In altre parole, stiamo cercando di fare leva sulla capacità di fluidificazione del tumore per trasformare tale capacità da veicolo di aggressività tumorale ad arma per attivare il sistema immunitario. Il tumore passerebbe così da essere immunologicamente “freddo”, cioè non visibile al sistema immunitario, a uno immunologicamente “caldo”, quindi efficacemente trattabile con i moderni approcci d’immunoterapia».

La ricerca è stata condotta in collaborazione con Fabio Giavazzi, ricercatore di Fisica applicata dell’Ateneo milanese, e con Claudio Tripodo, dell’Università di Palermo. Gli esperimenti hanno inoltre richiesto il contributo di un gruppo di fisici dell’Università di Perugia e di diversi partner clinici, dello Ieo di Milano, del Policlinico San Matteo di Pavia, dell'Ospedale Cannizzaro di Catania e del Policlinico Gemelli di Roma. «Questa collaborazione così ampiamente interdisciplinare – conclude Scita – dimostra che fare ricerca d'eccellenza sul cancro significa anche esplorare connessioni trasversali con altri ambiti scientifici, con l'obiettivo di tracciare percorsi terapeutici efficaci in base ad approcci innovativi e a chiavi di lettura inedite».


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