Tumori: Quasi il 70% degli studi analizza la qualità di vita. Ma solo la metà viene pubblicato

   https://www.healthdesk.it/scenari/tumori-quasi-70-studi-analizza-qualit-vita-solo-met-viene-pubblicato, 02/04/2023

Corso Aiom in collaborazione con Asco

Oggi quasi il 70% degli studi clinici sui tumori include tra gli obiettivi da valutare la qualità di vita dei pazienti. Un dato che è progressivamente aumentato negli anni: nel quinquennio 2012-2016 era il 52,9% e il 67,8% nel periodo 2017-2021. I risultati relativi alla qualità di vita, pur compresi fra gli obiettivi, però, vengono pubblicati solo nel 52,1% dei casi in cui sono stati raccolti. E questa percentuale è addirittura calata rispetto al 2012-2016 (62,3%). I dati emergono da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica BMJ Oncology. La Società americana di oncologia clinica (Asco) e quella europea (Esmo) hanno inserito la qualità di vita tra i parametri da utilizzare per la valutazione del valore di un farmaco anticancro. La mancata pubblicazione rischia però di privare di informazioni molto importanti per valutare l’impatto della malattia e del trattamento sui pazienti.

Il tema della qualità di vita è stato uno tra gli argomenti affrontati nel Clinical Research Course, organizzato il 31 marzo e 1 aprile a Roma dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e dall’American society of clinical oncology (Asco), al quale hanno partecipato anche specialisti dall'estero, in particolare da Paesi economicamente disagiati, grazie al sostegno economico dell'Aiom.

«La ricerca scientifica non ha confini – dice Saverio Cinieri, presidente Aiom - per questo costruiamo ponti con gli altri Paesi per condividere esperienze cliniche e capacità formative». I patient-reported outcomes (PRO) sono l’insieme dei sintomi che misurano la qualità di vita dei pazienti durante un trattamento, per valutarne l’impatto. Sono quantificati grazie a questionari standardizzati e validati sui quali i pazienti possono riportare gli eventuali effetti avversi. «Non sostituiscono le informazioni del medico – precisa Cinieri - ma sono molto importanti perché aggiungono i dati riferiti direttamente dai pazienti, senza alcun filtro, ampliando le conoscenze sul valore della terapia».

Il lavoro pubblicato su BMJ Oncology è firmato da ricercatori del nostro Paese e ha confrontato 388 sperimentazioni del periodo 2017-2021 con 446 del precedente quinquennio.«Nella nostra analisi - spiega Massimo Di Maio, segretario Aiom – emerge che, in quasi la metà degli studi, il risultato della valutazione della qualità di vita, nonostante sia stato raccolto, non compare nella pubblicazione principale. E questa tendenza, purtroppo, sta peggiorando».

Per Giuseppe Curigliano, membro del Direttivo nazionale Aiom, «è importante anche promuovere l’attenzione alla qualità metodologica degli studi real world, cioè di “vita reale”, in cui vengono inclusi pazienti non selezionati, spesso anziani e con comorbidità, a differenza di quanto avviene nei trial registrativi, che non possono rispondere a tutti i quesiti utili nella pratica clinica. La real world evidence – osserva - offre diverse opportunità, ad esempio permette di descrivere i risultati di un farmaco in una popolazione eterogenea nella pratica clinica quotidiana, integrando i risultati degli studi clinici condotti prima dell’autorizzazione all’impiego nella pratica clinica».

«Per ottimizzare la conduzione degli studi di real world è però necessaria una piattaforma universale che consenta la condivisione dei dati della pratica clinica quotidiana in tempo reale» sottolinea Cinieri, ma «oggi non disponiamo di sistemi di cartelle cliniche elettroniche uniformi, prerequisito per gestire in maniera efficiente queste informazioni su tutto il territorio».

«Esiste ancora un gap fra studi registrativi e real world, cioè tra sperimentazione e pratica clinica quotidiana – conferma Francesco Perrone, presidente eletto Aiom - che può essere risolto creando una piattaforma che permetta di studiare non il singolo farmaco, ma i percorsi terapeutici». La disponibilità di dati adeguati, aggiunge Perrone, può avere ricadute positive anche dal punto di vista regolatorio, «riducendo le discussioni sulla rimborsabilità e rispettando la reale efficacia del farmaco, che potrebbe essere anche superiore a quella evidenziata nei primi studi registrativi. Serve una ricerca clinica indipendente più forte, promossa dal Servizio sanitario nazionale, capace di rispondere a questi bisogni e che si aggiunga agli studi profit condotti dalle aziende farmaceutiche. Ma oggi – conclude il presidente eletto Aiom - in Italia, solo un quinto degli studi sui nuovi farmaci è indipendente».


Leggi articolo