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Tumore al seno: tutto ciò che ogni donna dovrebbe sapere

Il tumore al seno è la forma di cancro più frequente nella popolazione femminile, ma grazie alla diagnosi precoce e ai continui progressi terapeutici, la sopravvivenza è in costante aumento. In questo articolo approfondiamo tutto ciò che è utile sapere: dall’anatomia della mammella ai diversi tipi di carcinoma, dai sintomi ai fattori di rischio, dagli strumenti di diagnosi alle opzioni chirurgiche e farmacologiche. Un’ampia panoramica utile per orientarsi e affrontare con consapevolezza un tema tanto delicato quanto centrale per la salute di tutte le donne.

Il tumore della mammella è oggi la forma di cancro più frequente nella popolazione femminile, rappresentando circa un terzo di tutte le neoplasie maligne diagnosticate nelle donne (30,3%). Se si considera l’intera popolazione, quindi includendo anche gli uomini, il tumore al seno costituisce il 14,6% delle nuove diagnosi oncologiche.

 Nel solo 2024, in Italia, sono stati registrati circa 53,686 nuovi casi di carcinoma mammario, di cui 621 negli uomini e i restanti 53.065 nelle donne. I decessi attribuibili a questa patologia (fermi al 2022) sono stati circa 15.500 tra le donne e 150 tra gli uomini.  Oggi sono 925.406 le donne che vivono in Italia dopo la diagnosi di tumore mammario (prevalenza), pari al  45% di tutte le donne che vivono dopo una diagnosi di tumore. Il tumore della mammella è, in assoluto, la neoplasia con maggiore prevalenza: oggi 7 donne su 8 che vivono dopo una diagnosi di tumore della mammella hanno la stessa aspettativa di vita (ovvero tassi di mortalità) della popolazione generale, indipendentemente dal fatto che la paziente sia ancora in trattamento anche diversi anni dopo la diagnosi (AIUTUM I Numeri del Cancro 2024).

Per rendere ancora meglio l’idea della diffusione di questo tipo di tumore, si può far riferimento ai dati ISTAT 2024 sui tumori maligni più comuni:

  • negli uomini prevalgono quelli alla prostata (18,7%), al polmone (14,9%) e al colon-retto (12,8%);
  • nelle donne, il tumore al seno è di gran lunga il più diagnosticato (30%), seguito da colon-retto (12,1%), polmone (7,4%), endometrio (4,9%) e tiroide (4,7%);
  • nell’intera popolazione, il carcinoma mammario resta il più diffuso (13,8%), seguito da colon-retto (12,5%) e polmone (11,5%).

Alla luce di questi numeri, è evidente quanto sia fondamentale conoscere a fondo il tumore al seno: comprenderne i fattori di rischio, i sintomi e le possibilità di diagnosi precoce può fare la differenza in termini di prevenzione, cura e sopravvivenza. Nell’approfondimento che segue, vedremo insieme tutto ciò che è importante sapere su questa malattia.

Conosci il tuo seno: struttura e funzione della mammella

In questo percorso di approfondimento sul cancro al seno, è utile partire da una conoscenza di base dell’anatomia mammaria. La mammella è una ghiandola pari e simmetrica, situata nel tessuto sottocutaneo del torace, sopra al muscolo pettorale. Si estende in lunghezza dalla seconda alla sesta costa e in larghezza tra lo sterno e l’ascella; in profondità si trova sulla fascia pettorale. La sua struttura è costituita principalmente da tessuto adiposo, che ne determina forma e volume, e da una ghiandola dalla tipica forma a “rami fioriti”, composta da 15-20 lobuli. I lobuli sono deputati alla produzione del latte, che viene trasportato verso l’esterno attraverso una rete di canali chiamati dotti galattofori, fino al capezzolo.

Il “Complesso areola -capezzolo” è formato dal capezzolo, composto da tessuto fibroso e muscolare  su cui si trovano numerosi orifizi (fino a 20) da cui fuoriesce il latte, e dall’areola, un’area pigmentata che lo circonda e ospita le ghiandole di Montgomery: piccole ghiandole sebacee che svolgono un ruolo importante durante l’allattamento, lubrificando e proteggendo la pelle.

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Dal punto di vista cellulare, i dotti galattofori sono rivestiti da cellule epiteliali luminali e mioepiteliali.

Un elemento essenziale per comprendere il rischio di diffusione tumorale è il drenaggio linfatico della mammella, che avviene per circa il 75% verso i linfonodi ascellari e interpettorali, per il 25% verso la catena mammaria interna e, in misura minore, verso i linfonodi sovra- e infraclaveari (sopra e sotto la clavicola)

Lo sviluppo della ghiandola mammaria inizia già nella vita embrionale, ma è durante la pubertà e soprattutto, in gravidanza che la ghiandola raggiunge la sua piena maturazione funzionale grazie all’azione combinata di estrogeni, progesterone, insulina e ormone della crescita.

Definizione e tipologie del carcinoma mammario

Il tumore al seno ha origine dalla proliferazione anomala delle cellule epiteliali che rivestono i dotti galattofori e i lobuli della ghiandola mammaria.

 In base al comportamento delle cellule tumorali, i carcinomi mammari si distinguono in due categorie principali:

  • Carcinomi in situ (circa il 20%): si tratta di forme non ancora invasive, che non hanno oltrepassato la membrana basale e restano localizzate all’interno del dotto o del lobulo;
  • Carcinomi infiltranti o invasivi (circa l’80%): sono forme che hanno superato la membrana basale e possono infiltrare i tessuti circostanti e metastatizzare.

Oltre ai carcinomi, esistono forme più rare di neoplasie mammarie che originano da altri tessuti del seno. Tra queste troviamo:

  • Linfomi primitivi della mammella, tumori rari del tessuto linfatico che rappresentano circa il 2% di tutti i linfomi extranodali (originati fuori dai linfonodi). Insorgono in genere in sedi perilobulari e periduttali;
  • Sarcomi mammari, tumori mesenchimali rarissimi (<1% delle neoplasie mammarie), tra cui spicca l’angiosarcoma, spesso associato a precedenti trattamenti radioterapici;
  • Tumore fillode, una forma fibroepiteliale che rappresenta meno dell’1% dei tumori al seno, può recidivare localmente e variare da benigno a maligno;
  • Malattia di Paget della mammella, che colpisce il complesso areola-capezzolo con sintomi simili a psoriasi o eczema;
  • Carcinoma infiammatorio, o mastite carcinomatosa, una forma aggressiva e poco frequente (1-3%) che si manifesta con cute arrossata, tipicamente rugosa come la buccia d’arancia, calda e tesa, simile a una mastite.

Secondo la classificazione OMS 2019, il carcinoma infiltrante non altrimenti specificato (NST) rappresenta circa l’80% dei casi. Ci sono poi le seguenti varianti istologiche:

  • Carcinoma lobulare (10%);
  • Carcinoma tubulare, cribriforme e mucinoso (ognuno circa 2%);
  • altre forme rare: carcinoma apocrino, metaplastico, mucinoso, adenocistico e a cellule ad anello con castone.

Oltre a questi, si possono sviluppare:

  • Lesioni epiteliali benigne: le adenosi o precursori come iperplasie duttali atipiche;
  • Tumori rari di tipo ghiandole salivari (carcinoma adenoideocistico, mucoepidermoide, ecc.);
  • Tumori neuroendocrini, tumori fibroepiteliali (come il fibroadenoma), tumori del capezzolo e tumori mesenchimali;
  • Linfomi, più rari ma da considerare nel panorama delle neoplasie mammarie.

Questa grande varietà istologica richiede una diagnosi accurata per impostare la terapia più appropriata. Nei prossimi paragrafi approfondiremo i fattori di rischio, la diagnosi precoce e le strategie terapeutiche attualmente disponibili.

Come riconoscere il tumore al seno: i sintomi iniziali a cui prestare attenzione

Nella maggior parte dei casi, il tumore della mammella in fase iniziale non dà sintomi evidenti, e può essere  rilevato solo attraverso esami strumentali, come la mammografia. Solo in stadi più avanzati, i segni diventano percepibili durante l’autopalpazione o nel corso di una visita ginecologica o senologica di routine.

Per questo la diagnosi strumentale precoce rappresenta l’arma più efficace contro il tumore al seno. I programmi di screening organizzati dalle ASL, basati su mammografie periodiche, sono strumenti fondamentali per individuare la malattia prima della comparsa dei sintomi.

È importante anche chiarire che l’autopalpazione non è uno strumento diagnostico affidabile, poiché non permette di anticipare la diagnosi e può generare falsi allarmi o, al contrario, dare un falso senso di sicurezza.

Tuttavia, è importante conoscere meglio il proprio corpo e riconoscere eventuali cambiamenti da segnalare al medico. Alcune modifiche nel seno possono essere fisiologiche e legate all’età, al ciclo mestruale, alla gravidanza o alla menopausa. È comunque importante prestare attenzione a segnali sospetti come:

  • aree dure o noduli con consistenza diversa dal tessuto circostante;
  • variazioni di forma o volume della mammella;
  • alterazioni della pelle o del capezzolo (arrossamenti, retrazioni, pelle a buccia d’arancia);
  • secrezioni dal capezzolo, soprattutto se contenenti sangue.

In presenza di questi segni, è fondamentale rivolgersi tempestivamente al Centro di Screening, come specificato anche nel referto rilasciato dal Centro, se si è già inserite, oppure al proprio medico o alla Breast Unit di riferimento. Non bisogna farsi prendere dal panico, ma è essenziale procedere con tutti gli accertamenti necessari per arrivare a una diagnosi precisa e tempestiva.

I principali fattori di rischio per il tumore al seno

Dal punto di vista delle cause, il carcinoma della mammella è una patologia multifattoriale, cioè determinata da un insieme di elementi genetici, ormonali, ambientali e legati allo stile di vita. Conoscere i principali fattori di rischio aiuta a comprendere meglio la malattia e a mettere in atto strategie preventive efficaci.

Il primo e più importante fattore di rischio è l’età: con il passare degli anni, aumenta la probabilità di sviluppare un tumore al seno. Il rischio complessivo nell’arco della vita è di circa il 12%, ovvero più di una donna su otto. La probabilità cresce soprattutto fino alla menopausa (50-55 anni), per poi rallentare, in parte per la ridotta esposizione agli ormoni estrogeni, che stimolano la proliferazione delle cellule mammarie. Le statistiche ci dicono che il rischio è del 2,3% prima dei 50 anni, del 5,4% tra i 50 e i 69 anni e del 4,5% tra i 70 e gli 84 anni.

Anche i fattori riproduttivi e ormonali giocano un ruolo importante. Le donne che hanno avuto la prima mestruazione in età precoce (prima dei 12 anni) o che sono andate in menopausa dopo i 55 anni hanno un’esposizione prolungata agli estrogeni e quindi un rischio maggiore. Allo stesso modo, non avere avuto figli o aver avuto la prima gravidanza oltre i 30 anni può aumentare la probabilità di ammalarsi. La gravidanza, infatti, ha un effetto protettivo perché induce una maturazione del tessuto ghiandolare mammario, rendendolo meno suscettibile alle trasformazioni tumorali. Anche la terapia ormonale sostitutiva in menopausa, se contenente estrogeni, può accrescere il rischio.

Lo stile di vita ha un impatto determinante. L’obesità, soprattutto dopo la menopausa, è associata a un aumento del rischio del 30-50%, poiché il tessuto adiposo diventa la principale fonte di produzione di estrogeni. Il rischio è maggiore quando il grasso è localizzato a livello addominale, ed è quindi utile considerare non solo il peso corporeo (BMI- Indice di Massa Corporea), ma anche la circonferenza vita. Una dieta ricca di calorie, grassi saturi, zuccheri raffinati, carni rosse e alcol contribuisce all’infiammazione cronica e alla proliferazione cellulare. Per contro, la dieta mediterranea, ricca di frutta, verdura, fibre e grassi “buoni”, associata a una regolare attività fisica, ha dimostrato di ridurre il rischio di molte patologie croniche, incluso il tumore al seno.

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Esistono poi altri fattori meno noti ma comunque rilevanti: la presenza di lesioni mammarie precancerose, la radioterapia toracica in giovane età (prima dei 30 anni), e alcuni aspetti psicologici. Lo stress, infatti, può indurre comportamenti poco salutari come il fumo, l’abuso di alcol, la sedentarietà e anche un’alimentazione disordinata, tutti fattori che, se sommati, incidono sia sull’insorgenza del tumore che sulla qualità della vita.

Infine, un capitolo a parte merita la familiarità ed ereditarietà. Infatti, anche se la maggior parte dei tumori al seno è sporadica, circa il 5-10% dei casi ha una componente ereditaria. Ciò significa che non si eredita il tumore, ma una maggiore predisposizione genetica a svilupparlo, spesso legata a mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2. Le donne con queste mutazioni hanno un rischio significativamente aumentato di sviluppare un tumore mammario o ovarico nel corso della vita. In presenza di una forte familiarità, con più casi di tumore al seno o all’ovaio nella stessa famiglia, è consigliabile una valutazione genetica presso centri specializzati.

Gli strumenti della diagnosi precoce: come individuare il tumore al seno in tempo

La diagnosi precoce è quindi fondamentale per individuare il tumore al seno prima che compaiano sintomi evidenti. Oggi la medicina dispone di strumenti diagnostici altamente efficaci e sempre più precisi, in grado di rilevare anche le lesioni più piccole e iniziali. Vediamo quali sono i principali esami a disposizione.

Mammografia: il primo alleato della prevenzione

La mammografia è il test di screening più affidabile per le donne tra i 45 e i 74 anni. Si tratta di una radiografia del seno, eseguita comprimendo leggermente la mammella per ottenere immagini nitide. Sebbene questa compressione possa risultare fastidiosa o lievemente dolorosa, dura solo pochi secondi e comporta una minima esposizione ai raggi X. Con le tecnologie digitali oggi disponibili, è possibile ottenere immagini ad alta risoluzione che permettono di identificare anche microcalcificazioni inferiori a 1 mm. Ogni mammografia effettuata nei Centri di Screening viene letta da due radiologi esperti, assicurando un’accuratezza diagnostica molto elevata. L’esame è indicato anche prima dei 45 anni, in caso di sintomi clinici sospetti. In circa 5 donne su 100, la mammografia richiede ulteriori controlli. Nella maggior parte dei casi si tratta di falsi allarmi, ma è importante eseguire tutti gli accertamenti necessari a fare maggiore chiarezza. Gli approfondimenti possono includere ulteriori mammografie, eventualmente con tomosintesi 3D, che permette una visione tridimensionale del tessuto mammario aumentando l’accuratezza diagnostica e riducendo i richiami inutili.

Nel 2023, l’estensione degli inviti in Italia ha raggiunto il 94%, per un totale di 4.017.757 inviti effettuati, con una maggiore copertura degli inviti al Nord (62%) e al Centro (51%) rispetto al Sud e alle Isole (31%)

La gran parte della prevenzione avviene nell’ambito degli screening organizzati ma dove è più bassa la copertura dello screening organizzato persiste il ricorso all’iniziativa spontanea.

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Ampie risultano le disuguaglianze sociali nella partecipazione agli screening: è minore tra le persone socialmente svantaggiate per bassa istruzione, difficoltà economiche o cittadinanza straniera, che generalmente sono anche più esposte ai rischi per la salute legati all’abitudine tabagica, alla sedentarietà, all’eccesso ponderale e allo scarso consumo di frutta e verdura. Per aumentare l’estensione e la partecipazione ai programmi di screening è importante sensibilizzare maggiormente la popolazione con interventi, ma anche potenziare l’accessibilità dei servizi.

Ecografia e visita senologica

La mammografia è il test di screening più affidabile per le donne tra i 45 e i 74 anni. Si tratta di una radiografia del seno, eseguita comprimendo leggermente la mammella per ottenere immagini nitide. Sebbene questa compressione possa risultare fastidiosa o lievemente dolorosa, dura solo pochi secondi e comporta una minima esposizione ai raggi X. Con le tecnologie digitali oggi disponibili, è possibile ottenere immagini ad alta risoluzione che permettono di identificare anche microcalcificazioni inferiori a 1 mm. Ogni mammografia effettuata nei Centri di Screening viene letta da due radiologi esperti, assicurando un’accuratezza diagnostica molto elevata. L’esame è indicato anche prima dei 45 anni, in caso di sintomi clinici sospetti. In circa 5 donne su 100, la mammografia richiede ulteriori controlli. Nella maggior parte dei casi si tratta di falsi allarmi, ma è importante eseguire tutti gli accertamenti necessari a fare maggiore chiarezza. Gli approfondimenti possono includere ulteriori mammografie, eventualmente con tomosintesi 3D, che permette una visione tridimensionale del tessuto mammario aumentando l’accuratezza diagnostica e riducendo i richiami inutili.

Nel 2023, l’estensione degli inviti in Italia ha raggiunto il 94%, per un totale di 4.017.757 inviti effettuati, con una maggiore copertura degli inviti al Nord (62%) e al Centro (51%) rispetto al Sud e alle Isole (31%)

La gran parte della prevenzione avviene nell’ambito degli screening organizzati ma dove è più bassa la copertura dello screening organizzato persiste il ricorso all’iniziativa spontanea.

Ecografia e visita senologica

L’ecografia mammaria è un esame indolore che utilizza gli ultrasuoni per distinguere tra noduli solidi e cistici. È particolarmente utile nei seni densi o in presenza di lesioni dubbie. È anche lo strumento guida per effettuare biopsie o posizionare marcatori preoperatori. La visita senologica consente un’anamnesi dettagliata e l’esame clinico di seno e ascelle, pur non essendo sufficiente da sola per fare diagnosi precoce.

Biopsia: per confermare la diagnosi

Se durante gli esami emerge una lesione sospetta, si procede con la biopsia, esame ambulatoriale che permette di prelevare un campione di cellule o tessuto da analizzare al microscopio. Può essere effettuata tramite agoaspirato (con un ago sottile) o ago-biopsia (con prelievo di tessuto sotto guida ecografica o stereotassica). L’esame istologico che segue fornisce informazioni essenziali sulla natura e le caratteristiche biologiche del tumore.

L’esame istologico riporta:

  • il tipo istologico (duttale, lobulare, ecc.);
  • il grado di differenziazione (G1-G2-G3);
  • la presenza di recettori ormonali (estrogeni e progesterone);
  • il Ki67 (indice di proliferazione cellulare);
  • l’espressione del recettore HER2;

Queste informazioni guidano la scelta del trattamento più adatto per ogni paziente.

Risonanza Magnetica: esame di secondo livello

La risonanza magnetica (RM) della mammella viene utilizzata in casi selezionati per una valutazione più dettagliata, ad esempio prima di un intervento chirurgico o in presenza di protesi. È una metodica altamente sensibile che non impiega radiazioni ionizzanti, ma richiede l’uso di un mezzo di contrasto endovenoso. Non può essere eseguita da chi ha dispositivi magnetici non compatibili, come alcuni pacemaker o neurostimolatori.

Intervento di rimozione del tumore del seno: cosa aspettarsi

Nella maggior parte dei casi la diagnosi avviene in fase iniziale, e quasi tutte le donne con una diagnosi di tumore al seno devono affrontare un intervento chirurgico. La tipologia dell’operazione e il successivo iter terapeutico dipendono da molteplici fattori: la dimensione, l’estensione del tumore rispetto al volume mammario, la sua localizzazione, le caratteristiche biologiche e le condizioni generali della paziente. Ogni decisione viene presa all’interno del Gruppo Interdisciplinare di Cura, formato da senologo, oncologo, radioterapista, chirurgo plastico, radiologo, anatomopatologo e psicologo. L’intervento chirurgico può essere il primo passo del trattamento o essere preceduto da una chemioterapia neoadiuvante.

Quando il tumore è singolo e relativamente piccolo rispetto al volume della mammella, si opta per un trattamento conservativo: tumorectomia, lampectomia o quadrantectomia, che rimuovono il tumore lasciando intatta buona parte del seno. Grazie all’oncoplastica, che combina tecniche oncologiche e ricostruttive, si ottengono risultati estetici sempre più soddisfacenti.

In caso di tumori non palpabili si utilizzano tecniche di localizzazione radioguidata (ROLL) per un’asportazione mirata. Quando il tumore è multifocale o le dimensioni lo richiedono, si procede con la mastectomia, che può essere semplice o accompagnata dalla conservazione della cute (SSM), del complesso areola-capezzolo (NSM) o da una riduzione e rimodellamento cutaneo (SRM).

Durante l’intervento viene valutato anche lo stato dei linfonodi ascellari. Il primo passo è la biopsia del linfonodo sentinella, ovvero il primo linfonodo che riceve il drenaggio linfatico dall’area tumorale. Se questo risulta positivo, in casi selezionati può essere necessario uno svuotamento del cavo ascellare. Tuttavia, oggi si tende a limitarne l’uso per ridurre il rischio di linfedema, una delle complicanze più temute.

È importante sottolineare come Le tecniche ricostruttive si siano evolute notevolmente. In molti casi è possibile ricostruire la mammella durante la stessa operazione di mastectomia, utilizzando protesi definitive. Altrimenti si ricorre a espansori cutanei temporanei, sostituiti in un secondo momento con protesi definitiva. Per garantire simmetria, spesso si interviene rimodellando anche sulla mammella controlaterale.

Dopo l’intervento possono comparire effetti collaterali temporanei o duraturi. Gonfiore, rigidità, formicolii e alterazioni della sensibilità nella zona ascellare sono frequenti e legati alla cicatrizzazione o alla lesione di piccoli nervi durante l’intervento. In alcuni casi si può verificare una limitazione nei movimenti del braccio o la comparsa del linfedema, cioè un gonfiore del braccio dovuto al ristagno della linfa. Per prevenire o ridurre questi inconvenienti, è molto importante la fisioterapia riabilitativa precoce, insieme a esercizi specifici e all’eventuale massaggio della cicatrice.

In generale, la chirurgia rappresenta solo una parte del percorso terapeutico. Dopo l’intervento, nel carcinoma invasivo in stadio iniziale (nel carcinoma in situ solitamente è indicata solo radioterapia post chirurgica) è indicato un trattamento farmacologico personalizzato (chemioterapia, ormonoterapia, terapia mirata a bersaglio molecolare), definito sulla base delle caratteristiche biologiche del tumore, associato a seconda sei casi a Radioterapia. Grazie ai progressi della medicina di precisione, oggi è possibile distinguere diversi sottotipi molecolari di carcinoma mammario (Luminali A e B, HER2 positivi, tripli negativi), ognuno con un diverso comportamento clinico e risposta terapeutica. La terapia può essere adiuvante (dopo l’intervento) o nei casi a maggiore rischio neoadiuvante (prima dell’intervento), valutata in  ogni singola paziente in base al proprio specifico rischio di ripresa di ma­lattia, calcolato in base: allo stadio, alle caratteristiche biologiche del tumore, al beneficio prevedibile rispetto agli eventuali effetti collaterali della terapia, alla presenza di eventuali comorbidità , alle preferenze della paziente e all’aspettativa di vita. L’introduzione della profilazione genomica, attraverso test come Oncotype DX o Mammaprint, consente, inoltre, di definire nel sottogruppo Ormonopositivo-HER2 negativo in stadio iniziale se l’aggiunta della chemioterapia adiuvan­te  all’ormonoterapia sia effettivamente più efficace nel controllo della malattia della sola ormonoterapia, evitando in circa 30% dei casi il trattamento e relativi effetti collaterali. Infine, nei casi più avanzati o ad alto rischio, sono disponibili farmaci innovativi (inibitori CDK4/6, immunoterapia, farmaci agnostici ovvero rivolti verso specifiche mutazioni del DNA della cellula neoplastica), che agiscono su specifiche alterazioni del tumore. Nelle pazienti con carcinoma mammario localmente avan­zato, infiammatorio o in stadio iniziale ad alto rischio di recidiva triplo-negativo, è possibile  associare alla chemioterapia neoadiuvante l’immunoterapia con Pembrolizumab; mentre nei casi ER2+ è possibile associare alla chemio neoadiuvante + trastuzumab il Pertuzumab. Nelle pazienti con mutazione germinale dei geni BRCA1/2 e carcinoma mammario HER2-negativo ad alto rischio di recidiva oggi nel setting post-operatorio è possibile terapia adiuvante con Olaparib (un PARP inibitore in grado di correggere il danno del DNA). Queste opzioni terapeutiche vengono discusse all’interno del Gruppo Interdisciplinare Cure e nei casi più complessi con mutazioni rare in gruppi specializzati, i Molecular Tumor Board, per garantire un trattamento sempre più mirato e personalizzato.

Prognosi e sopravvivenza: un futuro sempre più promettente

I dati dei Registri Tumori italiani indicano una significativa riduzione della mortalità per tumore della mammella del 16,2% negli ultimi 15 anni e un costante aumento di circa l’1,6% l’anno, nell’ultimo decennio, del numero di persone che vivono dopo una diagnosi di tumore. (AIRTUM 2024).

Tra le donne che si sono ammalate nello scorso decennio, la probabilità di guarigione globale stimata è del 73%, con notevoli differenze a seconda dello stadio a cui la malattia è stata diagnosticata: guarigione nel 99,4% delle donne con stadio I alla diagnosi (97% se la diagnosi è avvenuta sotto i 45 anni di età); nell’81% inquelle in stadio II. La percentuale  aumenta in base a quanti anni sono trascorsi dalla diagnosi: 93% a 5aa  e al 96%  a 10 anni dopo la diagnosi.

Ciò ha portato all’approvazione della legge sul diritto all’oblio oncologico (Legge 193/2023, Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche) approvata il 5 dicembre 2023. 

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Prima dell’approvazione di questa legge, le persone che avevano avuto un tumore, anche se guarite, potevano essere escluse dall’accesso al credito, dalla stipula di polizze assicurative, dall’assunzione o dall’avanzamento di carriera, avevano inoltre difficoltà nell’ottenere la patente di guida o contratti di affitto. La norma generale si applica alle persone affette da tumore il cui trattamento si sia concluso da più di dieci anni senza recidive, cinque nel caso di tumori diagnosticati sotto i 21 anni. il Ministero della Salute ha emanato nel marzo del 2024 il primo decreto attuativo (DM 22/03/2024) che elenca le patologie oncologiche per le quali è previsto un termine ridotto rispetto alla norma generale.

 

La sopravvivenza a lungo termine nei tumori metastatici, inclusi seno, polmone, colon-retto, rene e melanoma, è migliorata grazie a trattamenti sempre più mirati e a un approccio terapeutico personalizzato. La riduzione della mortalità è dovuta in gran parte alla diagnosi precoce resa possibile dai programmi di screening mammografico, ai continui progressi nelle terapie e a un approccio multidisciplinare alla cura della paziente. Nonostante ciò, il tumore al seno resta ancora oggi la principale causa di morte oncologica tra le donne.

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Anche in fase avanzata, i progressi sono incoraggianti, circa 35.000 delle prevalenti convivono con una malattia metastatica. 

A livello europeo, l’Italia si distingue positivamente: il nostro Paese presenta una mortalità oncologica standardizzata per età inferiore alla media UE, a conferma dell’efficacia del sistema sanitario nazionale nella gestione dei tumori.

Questi numeri, dietro ai quali ci sono vite, storie e percorsi di cura, ci ricordano quanto sia importante continuare a investire nella prevenzione, nella ricerca e nell’accesso a cure personalizzate e tempestive. Conoscere, prevenire e curare sono oggi strumenti sempre più potenti per affrontare il tumore al seno con fiducia e consapevolezza.