Scoprire un tumore al seno durante la gravidanza è un evento raro, ma non impossibile. Oggi, grazie ai progressi della medicina e a percorsi di cura dedicati, è una condizione che può essere affrontata in sicurezza, con l’obiettivo di tutelare sia la salute della madre sia quella del bambino.
Si parla di carcinoma mammario associato alla gravidanza (PABC) quando la malattia insorge durante la gestazione o entro un anno dal parto. I tumori in gravidanza sono un evento raro (1 caso ogni 1000-2000 gravidanze), di cui il tumore al seno è la neoplasia maligna più frequente in gravidanza, responsabile di circa il 40% di tutti i tumori diagnosticati in questo periodo. Negli ultimi anni la sua incidenza è in aumento, probabilmente a causa dell’età sempre più elevata alla prima maternità: in Italia, nel 2017, l’età media delle donne al primo figlio era di 31,1 anni, la più alta tra i Paesi europei. In Italia nel 2020 sono stati registrati circa 2.200 nuovi casi di BC in donne sotto i 40 anni e su circa 404.000 nascite, sono stati segnalati tra 40 e 133 casi di tumore al seno in gravidanza, con circa trenta diagnosi avvenute durante la gestazione e ottanta nel periodo successivo al parto. Si stima che vi sia un’incidenza di circa 23-30 casi/anno di carcinoma mammario durante la gravidanza.
Nonostante la frequenza dei controlli, la diagnosi precoce resta difficile: la maggior parte dei casi viene individuata quando la malattia è già sintomatica, con un ritardo medio di circa due-tre mesi. Le forme più comuni sono ormonoresponsive HER2 negative, mentre circa il 30% risulta HER2 positivo e una quota significativa presenta mutazioni dei geni BRCA1 o BRCA2. La buona notizia è che, a parità di stadio e di caratteristiche biologiche, la prognosi è sovrapponibile a quella delle donne non in gravidanza.
Il percorso diagnostico è simile a quello previsto per le donne giovani non gravide. L’ecografia mammaria rappresenta l’esame di primo livello, seguita dalla biopsia, che rappresenta la tecnica istopatologica più appropriata a causa delle diffuse alterazioni cellulari iperproliferative dovute alla gravidanza che potrebbero essere meno evidenti all’esame citologico. Quando necessario, è possibile eseguire la mammografia, utilizzando apposite schermature per proteggere l’addome; la risonanza magnetica senza mezzo di contrasto è indicata solo in caso di sospetto fondato di metastasi, in particolare a livello cerebrale. Sono invece da evitare nel primo trimestre esami che comportano esposizione a radiazioni ionizzanti o mezzi di contrasto, come TAC, PET e scintigrafia ossea.
Anche il trattamento segue, per quanto possibile, le linee guida previste per le pazienti non in gravidanza, ma viene adattato per garantire la sicurezza del feto. L’interruzione della gravidanza è valutata solo nei casi in cui la diagnosi avvenga nel primo trimestre e il carico di malattia renda necessario l’inizio immediato della chemioterapia. Diversamente, la maggior parte delle donne può proseguire la gravidanza e iniziare le cure nel secondo trimestre, quando i rischi per il feto diminuiscono sensibilmente.
La chirurgia può essere eseguita in qualsiasi momento della gestazione senza pericoli per il bambino.
La chemioterapia è controindicata prima della 14ª-16ª settimana, per l’alto rischio di aborto spontaneo e malformazioni. È praticabile dal secondo trimestre in poi, con l’uso di farmaci come taxani e antracicline, sotto stretto monitoraggio fetale mensile. Nei casi di tumore HER2 positivo, le terapie mirate con trastuzumab, lapatinib o pertuzumab vengono rimandate al dopo parto, poiché possono causare complicanze fetali come oligo-anidramnios o parto prematuro. La chemioterapia viene sospesa dopo la 35ª-36ª settimana, per evitare che il parto avvenga in una fase di immunodepressione materna, con maggior rischio di infezioni.
Durante la gravidanza sono controindicate anche la terapia ormonale e la radioterapia, che vengono riprese solo dopo la nascita del bambino. Non vi è indicazione, invece, a un parto prematuro indotto: il parto naturale o cesareo viene di norma programmato dopo la 35ª-37ª settimana di gestazione.
Infine, durante l’allattamento, se si rende necessaria una mammografia, è sufficiente svuotare la mammella prima dell’esame, senza interrompere l’allattamento.
Oggi, grazie all’esperienza dei centri multidisciplinari e a un approccio sempre più personalizzato, una diagnosi di tumore al seno in gravidanza non esclude la possibilità di portare avanti la gestazione in sicurezza. Con un monitoraggio attento e la collaborazione tra oncologi, ginecologi, ostetrici e specialisti della fertilità, sempre più donne riescono a superare la malattia e a diventare madri.
